La Maturità non serve più a testare solo le competenze, ma anche le ambizioni
Con tracce di ampio respiro il ministero cerca di cogliere la complessità dei candidati come uomini e cittadini, non solo discenti. Il rapporto fra l’individuo e gli altri è il macrotema scelto per la prima prova
In questa maturità di passaggio, l’ultima col temuto quizzone e senza l’ancor più temuta alternanza scuola-lavoro, si è verificato un impercettibile smottamento: per la prima volta alcuni opinionisti sono stati chiamati a esprimere i propri desiderata sulle tracce anziché, come da tradizione, a svolgere sui quotidiani quelle assegnate dal ministero. Non è una variazione insignificante. Certifica l’avvenuto mutamento del senso della maturità nelle coscienze degli italiani e in particolare della prova che parla maggiormente alla nostra sensibilità comune, il vecchio tema ormai declinato in varie e astruse definizioni (saggio breve, articolo di giornale, analisi del testo) ma sovente svolto dai ragazzi all’identica moda dei vecchi temi.
Questa prima prova dunque non viene più vista come specchio delle competenze di una generazione di esaminandi bensì delle sue ambizioni. Ne consegue la richiesta di tracce di ampio respiro, che siano in grado di cogliere la complessità dei candidati nella loro formazione di uomini e cittadini oltre che di discenti. È in questo contesto che va letta la tendenza ministeriale già notata dal Foglio un anno fa: l’individuazione di un sottaciuto percorso teorico che funga da comune denominatore delle tracce, come se ciascuna di esse non fosse che l’articolazione specifica di un’idea generale vagheggiata nelle segrete stanze ministeriali e che gli studenti devono subodorare o indovinare. Nel 2017 il macrotema era stato il contrasto fra uomo e natura, con la partecipazione straordinaria delle macchine; le tracce erano talmente simili fra loro che si vociferava di qualche leggendario candidato che aveva tentato di svolgerle tutte in un elaborato solo. Erano tracce piuttosto banali quindi, nel caso, non sarà andato male.
Nel 2018 va meglio; non si sente tanfo di ideologizzazione un tanto al chilo, com’era successo l’anno scorso con l’ambientalismo, e le sfere d’influenza delle singole tracce restano ben divise. Il macrotema può essere individuato nel rapporto fra l’individuo e gli altri, filtrato però attraverso varie distinzioni. A un’intera pagina de “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani (tipologia A, analisi del testo) vengono affidate l’integrazione e l’esclusione nella comunità di appartenenza. La tipologia B si divide in quattro indirizzi che vertono rispettivamente sulla solitudine, sulla creatività come marchio distintivo dell’individuo rispetto a produzione seriale e globalizzazione, su massificazione e totalitarismo, e sulla dignità della persona umana alla luce della sua replicazione in cloni. Su uno di questi argomenti veniva richiesto di scrivere un saggio breve o un articolo di giornale. I temi veri e propri, ribattezzati tipologia C e D, affrontavano in ambito storico il compromesso come soluzione per la stabilità politica, con citazioni da Aldo Moro e su De Gasperi, e nell’ordine generale l’ideale dell’eguaglianza fra cittadini sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione.
A una prima lettura risalta la massiccia presenza di anniversari: il 1938 delle leggi razziali, il ’48 del varo della Costituzione e della vittoria elettorale democristiana, il ’78 del sequestro Moro. Se fossero stati privi del contesto che lega le tracce, si sarebbero risolti nella mera riduzione della scuola a istituzione celebrativa o commemorativa, implicando che la conoscenza di determinati eventi sarebbe stata meno rilevante in anni che fossero finiti, anziché per otto, per sette o per nove. Letti invece secondo il comune denominatore delle tracce, questi anniversari sono l’occasione per sottintendere quale tipo di coscienza civica la scuola italiana si aspetta di aver formato nei maturandi: egualitarista, aperta alla differenza, consapevole delle atrocità del passato, realisticamente portata alle vie di mezzo, ostile alla violazione politica della dignità umana ma non aliena a metterla in discussione qualora il progresso scientifico lo richiedesse.
Un po’ cerchiobottista, dunque, ma non per questo semplicistica. Sono belle tracce, che richiedono di confrontarsi con argomenti complessi tramite testi anche complicati. Dai famigerati tempi in cui s’insorse contro un brano innocente di Claudio Magris si è capito che gli Esami di Stato non intendono limitarsi ai programmi svolti ma verificare con quali strumenti dei maggiorenni alfabetizzati sono in grado di rapportarsi a fonti inedite. Pertanto è bene soffermarsi sulla provenienza del materiale prescelto onde capire come il ministero suppone che gli studenti leggano. È curiosa la scelta di canonizzare l’inserto letterario del Corriere della Sera come intercapedine per far giungere agli studenti il pensiero di due docenti universitari, il sociologo Carlo Bordoni e l’economista Enrico Moretti, che pure vantano fior di pubblicazioni in volume; mentre, nello stesso riquadro, Michel Serres e Georges Didi-Huberman vengono citati direttamente tramite i propri libri. Fanno la propria comparsa il sito Focus.it, molto gradito ai giovani, e la rivista accademica bolognese “Storicamente”, si presume meno bazzicata. La ripresa della voce “Bioetica” dall’Enciclopedia Treccani presta il fianco al tradizionale espediente retorico degli studenti poco fantasiosi: iniziare il tema su un argomento con la definizione che ne trovano sul vocabolario.
Menzione d’onore per la pagina di Bassani che racconta la cacciata di un giovane ebreo dalla biblioteca comunale, commovente nella stratificazione di moti d’animo anche controversi, specie lì dove culmina nella definizione di “una delle forme più odiose di antisemitismo: lamentare che gli ebrei non fossero abbastanza come gli altri, e poi, viceversa, constatata la loro pressoché totale assimilazione all’ambiente circostante, lamentare che fossero tali e quali come gli altri”. Talmente ben scelto, questo passo, da rischiare di venire banalizzato dalle consegne dell’analisi del testo, che a margine del riassunto e della ricognizione lessicale richiede “una tua riflessione sul tema più generale della discriminazione e dell’emarginazione”. Il rischio di uscirsene con piattitudini generiche è elevato, sia perché durante gli esami gli studenti preferiscono andare sul sicuro, sia perché solo velatamente la traccia riconosce all’antisemitismo una specificità che travalica le leggi razziali italiane e il generale buon senso contro ogni discriminazione.
Ciò pone il problema di cosa ci si debba aspettare davvero da questa prova attesa con tanta trepidazione da famiglie, giornalisti, intellettuali. Lì dove viene presentato come termometro della coscienza nazionale, quasi che dalla scelta fra Pirandello e d’Annunzio dipenda in che tipo d’Italia viviamo, all’atto pratico lo scritto d’Italiano si riduce a un compito espletato sulla difensiva, con più attenzione a non pregiudicare il resto del lungo percorso della maturità che a scrivere qualcosa di effettivamente significativo su argomenti tanto elevati. L’aula (o il corridoio) d’esame è una bolla impermeabile agli strilli dei commentatori esterni; lo si evince anche dalla forma, oltre che dai contenuti. Il saggio breve e l’articolo di giornale sono esercizi di stile privi di utilità. Il primo non esiste fuori dalle mura scolastiche, dove scimmiotta l’utilizzo spesso caotico e più spesso casuale delle note a pie’ di pagina come sembiante di credibilità argomentativa, tristemente citando soltanto dal risicato materiale messo a disposizione nella traccia. Quanto agli articoli di giornale, nessuno (nemmeno questo) viene mai scritto a mano su un foglio protocollo in sei ore, senza poter controllare altre fonti che il materiale imposto, isolati dal mondo sotto la vigilanza di docenti resi arcigni o demotivati dall’eccesso di burocrazia e dal caldo puntuale anche quest’anno.
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