Fermate quella chat! In Valdichiana il sogno di tutti: chiudere il diabolico social ai genitori
Parla Erica Rampini, l’assessore alla Scuola di Monte San Savino. Troppe “verità distorte” nei gruppi WhatsApp, e allarmismi inutili
Roma. Non abitano nella grande città, i pionieri avanguardisti della disconnessione (o disintossicazione o presa di coscienza o ridimensionamento scolastico del social network portatore di false certezze se non proprio di falsità). Non governano nazioni ma, più tranquillamente, un paese in provincia di Arezzo, Monte San Savino in Valdichiana, come da notizia apparsa lunedì su Repubblica (Titolo: “‘Sono ingestibili’– il piccolo Comune che vieta le chat tra genitori e professori”). E anche se poi, al telefono con il comune del luogo suddetto, si scopre che non di “divieto” ma di semplice “esortazione” si trattava, il problema – che problema resta dalle Alpi alle Piramidi – è scoppiato come mai era scoppiato finora, “travalicando anche la vera notizia”, come sottolinea l’assessore alla Scuola e Politiche sociali Erica Rampini, trentunenne proveniente dalla sinistra-sinistra. E’ Rampini a dire che anche a livello locale è passato quasi sotto silenzio il fatto che la retta mensile del nido di gestione comunale di Monte San Savino sia calata per il prossimo anno di oltre cento euro (ora ammonta a cinquanta), diversamente dal dubbio espresso da Rampini sull’effetto perverso della chat di classe. E siccome la sequela matrigna di messaggi diurni e notturni, spesso inversamente proporzionali nel numero all’importanza del tema in esame, è questione che tormenta tutti universalmente, e da prima che in Italia la lotta di fake news, clic e post diventasse agenda quotidiana politica, il contrappasso preventivo del “no” alla chat in quel di Monte San Savino è assurta – non soltanto in Valdichiana – a simbolo di ribellione contro lo strapotere dell’Inattendibile che dilaga via WhatsApp, correndo spesso sul limitare della perdita di senno.
“Durante la riunione preliminare con i genitori, prima della riapertura”, racconta Rampini, “ho sconsigliato di usare la chat per diffondere informazioni per sentito dire, quindi spesso non corrispondenti al vero, quando invece il vero potrebbe essere appurato semplicemente telefonando o scrivendo una mail alla segreteria della scuola. Abbiamo avuto vari incidenti di percorso l’anno scorso, come hanno fatto notare anche le insegnanti: è successo addirittura che, causa allarme diffuso al mattino su un misterioso quanto inesistente ‘virus’, siano stati portati in classe, in un giorno di dicembre, soltanto due bambini su venti”. Gli altri a casa, per evitare l’epidemia che non c’era.
Dicono poi al comune di Monte San Savino che l’esposizione pubblica “di questioni private”, una costante del compulsivo fiume di messaggi, ha più volte creato bolle di ansia non giustificate. “Una madre a un certo punto mi ha detto”, racconta l’assessore, “una frase del tipo ‘ho letto su WhatsApp che il cibo fa schifo’, ma non aveva verificato né aveva scritto all’indirizzo mail per i disservizi sulla mensa che compare in evidenza sul nostro sito, indirizzo a cui io rispondo personalmente. E insomma ho dovuto dire più volte che non considero la chat una fonte attendibile, tanto più per questioni da risolvere e appurare con canali tradizionali, e ho detto anche che non penso sia una grande idea diffondere via social le foto dei bambini, altra attività frequente. Finché si usa la chat per il regalo di fine anno alle maestre o per la cena di Natale va bene, per il resto ci sono i rappresentanti dei genitori”.
Fatto sta che l’invito a chiudere la chat di classe prima che la classe torni sui banchi (onde evitare di “produrre informazioni distorte”, dice l’assessore) ha fatto sognare la diffusione di un simile interventismo presso l’universo mondo dei genitori che si svegliano di soprassalto per i troppi messaggi, arrivati nottetempo a cellulari incautamente non silenziati, gente cui sovente tocca riflettere sull’opportunità di allarmarsi per l’ondata di maltempo profetizzata dalle Cassandre che si mobilitano a ogni vigilia di gita al museo che la maestra mandi in terra. E c’è di peggio: la gogna internettiana sulle (presunte) malefatte di alunni o professori. Esempio: “Cari tutti, vi scrivo per dirvi – senza fare nomi – che in classe si è verificato un episodio increscioso…”. Segue lista di supposizioni e identikit non troppo velati, con coro greco a favore della condanna preventiva (le dissenting opinion, timidamente espresse, troppo presto vengono inghiottite dal buio della rete).
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