Il sovranismo accademico di Pisa che non vuole una Normale a Napoli
Parla il rettore Barone: “Lega contraddittoria, M5s assente”
Il rapporto fra centro e periferia tormenta il direttore della Normale, il chimico Vincenzo Barone. Due anni fa aveva lanciato la joint venture fra la propria Scuola, il Sant’Anna di Pisa e lo Iuss di Pavia insistendo su quanto una migliore rete ferroviaria potesse aiutare le idee a circolare fra le università. La globalizzazione della ricerca, spiegava sul Foglio del 26 maggio 2017, imponeva di delocalizzare l’eccellenza e superare steccati fra materie, se si voleva competere con istituzioni estere ricche e tentacolari. Quest’oggi Barone, per aver cercato di aprire una sede staccata della Normale a Napoli, affronta in Senato Accademico la prima mozione di sfiducia mai presentata contro un direttore in due secoli di storia.
“Eppure resto convinto che, in una città piccola come Pisa, la Normale possa risultare competitiva solo come capofila di un progetto più vasto”, dice amareggiato al Foglio. La sua idea prevedeva che il marchio della Normale venisse utilizzato dalla Federico II di Napoli (di cui Barone è stato alunno) per attivare ulteriori corsi che, dopo una fase triennale di sperimentazione, a regime avrebbero accolto all’incirca centocinquanta studenti e una sessantina di dottorandi secondo i criteri della Scuola. A quel punto la sede sarebbe diventata autonoma, una Normale Meridionale. Da tempo ciò è accaduto in Francia, dove alla fondazione napoleonica della Normale di Parigi sono succedute le prestigiose sedi di Lione (1880), Cachan (1912) e Rennes (1994); non hanno mancato di notarlo i firmatari di una lettera aperta pro-Barone, trecento docenti da tutto il mondo fra cui una ventina di normalisti.
La proposta, sulle prime accolta dal governo che aveva previsto un apposito stanziamento nella Finanziaria, si è scontrata con l’accademia e con la politica. Molti docenti della Normale hanno criticato la scelta: a Barone sono stati rimproverati decisionismo e opacità nell’operazione (“Ma abbiamo aperto dottorati congiunti con la Federico”, commenta, “abbiamo fatto corsi di orientamento a Napoli, ci sono da un anno dichiarazioni di colleghi al riguardo e ora i miei esimi colleghi ritengono non ci sia stata trasparenza?”) e, nel breve volgere di un mese, si è passati dal mormorio sotterraneo alla mozione di sfiducia. Ha vinto il sindaco leghista di Pisa, Michele Conti, che insieme al deputato locale Edoardo Ziello si è prodigato acciocché la Normale restasse ai pisani. Quest’inedito sovranismo accademico indica la contraddizione su cui vive l’attrito: da un lato riconosce che la Normale è un patrimonio pisano e lega la sua eccellenza a una cittadina di solida tradizione culturale; dall’altro ignora che ogni università è extraterritoriale e vive della diffusione delle idee, quindi deve consolidare la propria eccellenza su reti che travalichino le mura.
“La Lega è stata un po’ contraddittoria con sé stessa”, continua Barone. “La versione iniziale della legge l’avevano scritta loro, certo non io; ma di fronte a una rivendicazione campanilistica hanno ritenuto che i poteri locali dovessero prevalere sull’autonomia dell’università”. Ma al governo c’è solo la Lega? “C’è una totale assenza dei Cinque stelle, che si erano detti molto interessati; da quel lato, silenzio assordante”. Per Barone la scelta è sempre “tra un’università localistica e un centro di network: del resto i miei colleghi mi hanno eletto con quest’ultimo programma, quindi se hanno cambiato idea ci sono tutti gli strumenti democratici del caso”. Al Foglio Barone smentisce di voler dimettersi in anticipo per rilasciare dichiarazioni che alcuni quotidiani pregustano velenose; lascerà votare il Senato e, se la mozione passerà, non aspetterà che la sfiducia venga ratificata dall’intero corpo accademico ma abbandonerà l’incarico. In caso contrario, valuterà il da farsi.
“La Normale è salva!”, esulta intanto il sindaco sui social, sottintendendo che l’aggiunta di una nuova sede ne avrebbe messo a repentaglio la sopravvivenza: il ministro Bussetti ha infatti riallocato i fondi destinandoli all’apertura di una scuola universitaria superiore al sud, che però non potrà fregiarsi del marchio della Normale. Sarà la prima, visto che i sei istituti simili in Italia vanno da Trieste all’Aquila. “Queste sono considerazioni geopolitiche che mi affascinano poco”, conclude Barone. “L’ipotesi interessante era coniugare l’università di massa con lo stimolo fornito da centri d’eccellenza di riferimento. D’altra parte era previsto un periodo di sperimentazione di tre anni e, dopo l’esperimento, si sarebbero controllati i risultati. Certo, sarebbe stato meglio più tempo ma, se prima non si sperimenta, poi come si fa a controllare?”.
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