Le note sul registro abolite a scuola e gli insegnanti da rimettere in cattedra
Sorvegliare e punire? Sì, ma soprattutto i genitori
- E il maestro che dirà?
- Il maestro si lascia dire. E’ pagato apposta per brontolare tutti i giorni.
“Le Avventure di Pinocchio”
Mai sottovalutare Pinocchio e le sue avventure, anche se non sempre commendevoli, e soprattutto le riflessioni col suo amico Lucignolo, quando mettono sotto la lente dissacrante dell’ironia il sistema disciplinare della scuola umbertina. Il Parlamento repubblicano ha abolito l’altro giorno due articoli di un regio decreto che, se non proprio all’epoca umbertina, risaliva comunque a un bel po’ di tempo fa, a un’altra Italia, l’Italia del Ventennio. Il regio decreto del 1928 elencava, nei due articoli abrogati, “le punizioni per i fanciulli” nelle scuole che oggi chiamiamo primarie: niente più note scolastiche, sospensioni, addirittura espulsioni. Riformare un sistema sanzionatorio antiquato (all’epoca era in realtà una umanizzazione delle pregresse punizioni corporali) e di fatto fuori corso – quantomeno nelle scuole che funzionano, e ce ne sono – non è uno scandalo. Anche se a molti è sembrato invece un errore: si tolgono armi di intervento agli insegnanti, e allo stesso tempo si tolgono riferimenti disciplinari certi per i bambini, generando un’incertezza che scivola nella irresponsabilità. Ci sono sostanze e sfumature di vero, in queste critiche ma in verità non troppe. Non è che la scuola italiana piomberà nella giungla: oggi esistono i registri elettronici, che permettono un controllo condiviso e in tempo reale con le famiglie molto più pervasivo di prima (secondo qualche libertario pure troppo) e la logica “di sistema” della scuola è quella di un “patto” educativo tra scuola e famiglie (sempre nelle scuole funzionano, ovvio).
A non essere strabici come la maggioranza di governo, che mentre abolisce l’ancien régime disciplinare propone l’obbligo di grembiule fino alle medie, e a non essere miopi come il pedagogismo progressista d’opposizione, abbarbicato a logiche di laissez-faire che hanno raso al suolo il principio di autorità, bisognerebbe prendere coscienza dei due veri problemi. Il primo, che l’overbooking di sanzioni e l’innalzamento dei decibel delle maestre urlanti – fenomeni empiricamente riscontrabili da chiunque abbia figli in età scolare – non sono la soluzione, ma l’allarme di una diga che non tiene. Il secondo, e più grave, è che oggi la cultura genitoriale è tutta in difesa (presunta) dei bambini, e si toglie così agli insegnanti l’autorità che devono avere, con gravi danni anche sui punti di riferimento comportamentali di chi invece ne avrebbe un gran bisogno. I genitori difendono i figli (dalle note, dagli urlacci, dai brutti voti) mettendo sistematicamente in dubbio la competenza della scuola (ah, le chat), e spesso gli insegnanti sono costretti a giocare a rimpiattino con una sorta di populismo genitoriale. E’ di ieri, del resto, la notizia di una preside aggredita da una madre perché la figlia era stata sospesa (Salvini, la cui maggioranza ha abolito le sospensioni, ora chiede l’arresto della madre: per dire lo strabismo).
Invece la scuola è un atto di fiducia nella competenza degli insegnanti. La prima e più “disciplinata” cosa che i bambini devono apprendere è questa. Bisogna rimettere in cattedra l’autorevolezza degli insegnanti, più che il registro. E lo devono imparare per primi i genitori: quello che decide la maestra è la regola, ed è buona.
Il Foglio sportivo - in corpore sano