Il ministro rettore (e pure ingegnere) Gaetano Manfredi
La nemesi perfetta del grillismo incompetente e anti scientista
Se due indizi facessero una prova, ce ne sarebbe già abbastanza per convincersi che la nomina del professor Gaetano Manfredi, rettore dell’università Federico II di Napoli a ministro per l’Università e la Ricerca dopo le dimissioni del teoreta grillino della spesa pubblica scolastica, Lorenzo Fioramonti, sia una buona notizia. E, quantomeno, una nemesi dell’anticultura populista, nemica della competenza e della scienza. Primo indizio, un tweet dell’apprendista stregone anti euro Paolo Becchi: “Di Maio però dovrebbe sapere che Gaetano Manfredi è finito sotto processo e se l’è cavata… con la prescrizione!”.
L’allusione di Becchi è a una vecchia indagine relativa alle commissioni di collaudo dopo terremoto dell’Aquila, totalmente destituita di valore. Secondo indizio: qualche anno fa, da rettore, Manfredi fu particolarmente severo e scrupoloso nel “caso Infascelli”, censurando i comportamenti di un docente di Nutrizione e alimentazione animale dell’ateneo che in alcuni studi aveva falsificato, in senso peggiorativo, i dati sulla mai provata pericolosità dei mangimi ogm. Niente antiscientismo in accademia, grazie. E molti saluti al fantastico mondo capovolto in cui Fioramonti invitava l’anti-ogm Vandana Shiva a diventare consigliera scientifica del Miur.
Il terzo indizio, che non c’è ma non ce n’è neppure bisogno, è il dato politico che indica come Gaetano Manfredi sia stato indicato – oltre che la sua competenza: è anche presidente della Conferenza nazionale dei rettori – da una parte politica differente rispetto a quella che ha espresso gli ex ministri e anche la spacchettata neoministra dell’Istruzione. Ha un fratello che milita nel Pd (e qualche volta i frettolosi sono scivolati sull’omonimia) ma non ha appartenenze partitiche, nonostante in molti lo vedessero bene anche come candidato alla presidenza della regione Campagna. Tanto nel mondo accademico nazionale, quanto il quel mondo poco rumoroso ma pragmatico e illuminista che è una certa borghesia liberale e colta partenopea – Manfredi gode di un rispettoso prestigio. Quello che si guadagnano, specie in un paese ancora imbevuto di cultura umanistica o notarile, gli uomini di scienza e i pragmatici ingegneri. Comunque si vogliano combinare gli indizi, il rettore ministro Manfredi rappresenta un cambio di rotta (possibile: non dipenderà solo da lui) rispetto a certi indirizzi sbagliati, alla mancanza di visione, alle lamentele populiste e baronali (due cose che si tengono più di quel che sembri) che hanno dominato il passato anche recente dell’Università. Con realismo. Rettore di una grande università del sud, Manfredi è il primo a concordare con Fioramonti che servono nuovi fondi. Ma senza cercarli sulla luna: “So che quella cifra, un miliardo, è quanto è stato tagliato all’università negli ultimi anni e dovrebbe essere recuperato – è stata una delle sue prime risposte al Corriere – Ma so anche che la situazione della finanza pubblica è difficile e che non è possibile recuperare tutto subito”.
Poco tempo fa, da capo della Crui, aveva criticato duramente la manovra del governo di cui oggi fa parte parlando di “profonda preoccupazione per la direzione diametralmente opposta a quella attesa… Perfino i paesi emergenti puntano su università e ricerca: l’Italia no”. Ora, da ministro, scommette su un piano di lungo termine per la ricerca, parla di università anche come fattore di coesione territoriale, ma non si accomoda, non lo ha mai fatto – lui che molto si è speso per far decollare la partnership di Apple per la Ios Developer Academy, la prima scuola europea per sviluppatori di app di San Giovanni a Teduccio – su una inconcludente mentalità restituzionista. Dice invece: “L’università non basta. E’ necessario agire sul lavoro e affrontare il tema della mobilità”. Una nemesi, e mettersi a studiare.
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