“Tutti sono uguali davanti all'istruzione”. Così la sinistra ha rovinato la scuola
Il caso via Trionfale e un’ideologia che nega le evidenze
La vicenda dell’Istituto Comprensivo Via Trionfale di Roma, che per presentare all’utenza la propria offerta formativa (ormai la scuola italiana vive, e muore, di Pof) ha scelto una docimologia basata sul ceto e sul censo – in questo plesso ci va il ceto medio-alto, là i figli delle badanti – ha scatenato l’inevitabile “bufera” (docimologia giornalistica) che poi è più che altro un polverone che impedisce di vedere le cose per quel che sono. Seppure il Consiglio di istituto si sia giustificato affermando che “i dati riportati sono da leggere come mera descrizione socio-economica del territorio” – ignorando evidentemente che ogni descrizione geografica non è mai mera, ma traccia confini visibili – le reazioni sono state nella maggior parte dei casi del tipo etico-indignato. Fa testo, per l’opinione pubblica, Massimo Gramellini: “Una fotografia, ma dell’indicibile… L’opuscolo di una scuola, tanto più di una scuola pubblica, tanto più di una scuola pubblica per bambini, dovrebbe illustrare le peculiarità dei suoi corsi e i talenti dei suoi insegnanti, non il reddito dei suoi alunni”. Fa testo, per la professione, l’Associazione dei presidi: “La scuola è un luogo educativo ed inclusivo, no a forme di categorizzazioni superficiali e inutili”, scrivono. Anche perché “oltre a dare una cattiva rappresentazione di sé stessa agli occhi di chi legge corre anche il rischio di originare idee o forme classiste”. Per la politica fa testo, o dovrebbe, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina: “La scuola dovrebbe sempre operare per favorire l’inclusione. Descrivere e pubblicare la propria popolazione scolastica per censo non ha senso”, dimenticando che l’autopresentazione delle scuole è un obbligo previsto dal suo ministero.
In generale le critiche – anche quelle che hanno meno pigiato il tasto automatico dell’indignazione – sono state per lo più del tipo democratico-egualitarista di sinistra. Ma anche Giordano Bruno Guerri, che di sinistra non è, ha scritto sul Giornale un bel pezzo personale che suona a condanna della scuola divisa per ceto e censo. Essere uguali di fronte all’istruzione è un valore universale. Del resto è lecito pensare che la pensi così anche la preside del Trionfale, che si chiama Annunziata Marciano e quando dieci anni fa era dirigente scolastica di una elementare “da ceti bassi” a di Tor Pignattara sostenne la stessa convinzione a proposito di omogeneità sociale delle scuole. Si trovò a formare una prima elementare con 36 bambini non italiani, ne nacque un putiferio di opposti estremismi ma lei disse che la classe rispecchiava di fatto le comunità del quartiere. Il ministro Gelmini disse va bene, la sinistra applaudì.
Ma più che al tema della provenienza geografica o nazionale degli alunni, nel caso di Via Trionfale è forse più interessante pensare al film coreano “Parasite”. Che ruota attorno all’evidenza, là molto sentita, che le scuole non sono tutte uguali e che l’accesso ai migliori livelli di istruzione è un passaporto verso la riuscita sociale insostituibile. Molto diverso da quanto avviene nel nostro paese, dove prevale un pensiero unico (una dittatura politico culturale) opposto. Basato, e fin qui tutto bene, sul pregiudizio positivo dell’uguaglianza di fronte all’istruzione. Ma che ha imposto nei fatti e per decenni una finzione e una tragedia sociale che sono l’esatto opposto di quelle generate dall’esasperazione meritocratica alla coreana. Alla base ci sono due menzogne ideologiche: la prima, che la scuola è uguale per tutti (poiché i muri, i professori e i programmi li decide lo stato, non esistono differenze). La seconda, che poiché la scuola è inclusiva, non esistono situazioni di partenza svantaggiate: anche se vai nel plesso delle badanti.
Sappiamo tutti che non è vero, ma su questo si regge la grande cecità ideologica della sinistra italiana, dalla Costituente ad oggi, avallata dall’interesse sindacale (più posti, nessun merito) che ha invece costretto alla grande diseguaglianza gli studenti, segnatamente quelli dei ceti più deboli. Per fare il più banale degli esempi: se nella scuola italiana l’insegnamento delle lingue straniere è poco e di basso livello, i figli delle “famiglie dell’alta borghesia”, per citare la sciagurata presentazione, avranno la possibilità di studiare d’estate all’estero. I figli degli altri, no. Don Milani diceva che “nulla è più ingiusto che far parti uguali tra disuguali”. Diceva una cosa “di sinistra”? Forse. Ma di certo così tanto di sinistra che la sinistra, che da sempre ha sostenuto un sistema di falsa eguaglianza, non lo ha mai capito. Paradossalmente, lo ha capito di più qualche liberale di destra. Ora il sito web di una scuola statale provoca scandalo per la rottura del tabù linguistico egualitario. Invece dovrebbe provocare in tutti riflessioni anche amare. In tutti, ma soprattutto nella sinistra che per decenni ha avallato l’ipocrisia che la scuola fosse uguale e gli studenti pure, senza fare il minimo tentativo per differenziare i percorsi, i metodi, le risorse da mettere a disposizione per far sì che i plessi “da ceto medio-basso” potessero diventare un po’ più uguali agli altri. Ma nella realtà, non a parole.
Il Foglio sportivo - in corpore sano