Un tablet a tutti gli studenti per salvare la scuola dal Covid (e dal ritorno al passato)
In uno scenario in cui la didattica a distanza diventa un elemento strutturale della scuola, tutti, indipendentemente dal reddito, devono poter avere un loro device personale
Il premier Giuseppe Conte ha detto che “la didattica a distanza mediamente, sta funzionando bene”. Dopo oltre due mesi di lockdown però la situazione degli studenti italiani è tutt’altro che omogenea. Ci sono bambini come Linda, 10 anni, nata in Italia da genitori sudamericani: la sua famiglia ha usato i pochi risparmi per installare un wi-fi e comprare una stampante per poter fare gli esercizi inviati dalla maestra. Molti altri bambini devono usare a turno tablet e computer dei genitori per accedere alla didattica digitale, talvolta di notte.
Solo una minoranza di studenti ha la fortuna di interagire con professori che, già prima del blocco delle scuole, aveva sperimentato piattaforme digitali per integrare la didattica. Il resto dei ragazzi si confronta con professori che cercano di replicare la didattica tradizionale ma “a distanza”: lunghe lezioni frontali su Skype o Zoom quasi impossibili da seguire.
In uno scenario del genere, la didattica mista (metà della classe a casa metà a scuola) proposta dal ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina rischia di scontrarsi con grandi barriere. Secondo il report 2019 di Agcom “Educare Digitale”, prima che scoppiasse il virus meno della metà dei professori svolgeva attività didattiche tramite tecnologia su base quotidiana. Una famiglia su quattro non ha accesso a Internet (dato Istat 2019). La percentuale di famiglie con minori senza computer è del 14,3 (21,4 al Sud). Soltanto nel 22,2 per cento delle famiglie c'è un computer per ogni componente.
Il blocco delle scuole rischia di avere conseguenze disastrose sulla formazione – e dunque sulla vita futura – delle fasce più deboli. La pandemia ha costretto le scuole a spostare in un attimo l’intera didattica per oltre 7 milioni di studenti e 600 mila docenti dai banchi al digitale. Sono così emerse tre lacune che impediscono alla didattica a distanza di essere non solo possibile ma anche efficace per tutti: mancanza di strumenti, di formazione per gli insegnanti e di contenuti e piattaforme digitali disponibili.
Sono problemi enormi da risolvere in pochissimo tempo. Servono 2.2 miliardi, una cifra elevata in tempi normali, ma meno del 10% delle risorse che il governo ha mobilitato sino ad ora contro la crisi. Sarebbe il primo stanziamento a sostegno dei più giovani, visto che finora tutte le risorse sono state impegnate a beneficio dei loro genitori o nonni, come già’ era successo dopo la crisi del 2008.
La nostra prima proposta è di munire ogni studente di un proprio device personale, corredato da chiavetta Internet per le famiglie che non hanno una connessione a casa. Fino ad oggi, il ministero ha finanziato con 150 milioni di euro l’acquisto di device destinati solo a studenti in grave difficoltà economica.
In uno scenario in cui la didattica a distanza diventa un elemento strutturale della scuola, tutti gli studenti, indipendentemente dal reddito, devono poter avere un loro device personale per non doversi ridurre a fare i compiti solo nei momenti in cui il device familiare è disponibile o a perdere lezioni perché si sovrappongono agli orari dei loro fratelli. Il tablet o il pc è il banco della scuola digitale.
Secondo le nostre stime, servono circa 2 miliardi di euro per fornire a ciascuno studente iscritto alle scuole pubbliche un device da 300 euro (il costo di un Chromebook sulla piattaforma di acquisto della pubblica amministrazione MEPA).
Serve anche la formazione dei docenti per sviluppare competenze adatte a una didattica diversa da quella “fisica”. Quello sulla formazione è un intervento a costo zero, le risorse ci sono già. Basta usare il bonus annuale che ogni insegnante riceve attraverso la Carta del Docente istituita dal governo Renzi da 500 euro, e vincolare metà dell’importo in investimenti in formazione. Oggi meno del 7% dei 500 euro viene speso in formazione.
Terzo punto: così come la scuola fisica aveva bisogno di libri di testo, la didattica digitale ha bisogno di contenuti multimediali e di piattaforme per gestire una classe virtuale. In una prima fase il ministero dell’Istruzione può limitarsi ad acquistare i contenuti già esistenti e renderli accessibili ai docenti attraverso piattaforme per l’educazione digitale. In seguito il ministero dovrà coordinare la creazione di nuovi contenuti e piattaforme digitali per consolidare un mercato ancora in fase embrionale. Serve un investimento di 100 milioni, circa 13 euro a studente. Inoltre, è cruciale potenziare le piattaforme: finora sono stati stanziati soltanto 10 milioni. Nella crisi, infatti, molte aziende hanno offerto gratis i loro servizi, ma se questa situazione diventa la “nuova normalità”, chiederanno di essere remunerate: servono almeno altri 75 milioni.
Infine andrebbero ampliate le competenze degli animatori digitali, già esistenti in tutte le scuole. Il loro ruolo è quello di diffondere l’innovazione nella scuola e sono i candidati ideali per fare da riferimento alla nuova didattica digitale. Si possono triplicare i pochi fondi ora destinati agli animatori digitali (da 1000 a 3000 euro annui), con soli 25 milioni di euro.
Dobbiamo decidere se completare questo salto nel futuro cui siamo stati costretti dalla pandemia, oppure dedicare tutte le risorse a cercare di difendere un passato che non tornerà. Il fatto che il ministero abbia stanziato 830 milioni di euro in edilizia scolastica non fa ben sperare. Investire sulla scuola digitale – anziché sui mattoni – è urgente e necessario per ridurre le disuguaglianze esasperate dalla lockdown. È anche la migliore scommessa per tornare a crescere in tempi rapidi.
*Maddalena Ronchi, PhD Candidate at Queen Mary University of London
Silvia Vannutelli, PhD candidate Boston University
Il Foglio sportivo - in corpore sano