Dice l'Istat che siamo agli ultimi posti in Europa per scolarizzazione. Promuovere il 99,7 per cento dei maturandi, dando al 17 per cento di loro un voto superiore al novanta, è un modo creativo di far finta di nulla
Le statistiche hanno il difetto di essere insistenti e di ritrarre anche le realtà che si preferisce ignorare. I dati Istat sulla scolarizzazione – inclusi nel tradizionale Rapporto presentato stamane a Roma – sembrano il consueto film horror, ma un horror che non tiene svegli perché manca l’effetto sorpresa. Agli occhi di chi segue la scuola italiana i dati sulla scolarizzazione fanno lo stesso effetto di “Non aprite quella porta”, però senza porta. L’elemento più eclatante è il divario col resto dell’Unione europea. Considerando l’Europa dei ventisette, emerge che in media hanno un diploma quattro europei su cinque (il 78,4 per cento) a fronte di poco più di tre italiani su cinque (il 62,1 per cento). Ci si riferisce alla fascia di popolazione eleggibile per l’attività lavorativa, quella compresa fra i 25 e i 64 anni, ma il divario resta netto anche limitandosi alla fetta che dovrebbe essere al momento clou della propria carriera, cioè i trentenni: i diplomati sono l’84 per cento nell’Ue e poco meno del 75 per cento in Italia. Stante che un diploma garantisce un reddito maggiore del 34 per cento rispetto a quello di un non diplomato, non è solo una questione platonica ma strettamente economica, un segno di povertà.
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