Avvio delle lezioni con ritardi contenuti, esami regolari, fragilità e capacità di reazione del sistema. Ecco cosa è successo nelle aule virtuali delle università durante il lockdown
L’8 marzo un decreto del presidente del Consiglio dei ministri ha sospeso le lezioni in tutte le università italiane, dando loro però la “possibilità di svolgimento di attività formative a distanza”. Meno di una settimana dopo, quasi i tre quarti dei professori era già transitata nelle aule virtuali, dando avvio alla cosiddetta “didattica a distanza”, cioè a lezioni effettuate mediante apposite piattaforme tecnologiche. Nella stragrande maggioranza dei casi per la prima volta nella loro carriera professionale. Per un’istituzione come quella universitaria, ancora oggi descritta come una “torre d’avorio”, cioè distante dalla realtà e poco “responsabile” nei confronti del mondo esterno, si è trattata di una straordinaria prova di reattività ed efficienza. Ma come hanno vissuto la DaD i professori e i ricercatori impegnati in prima linea? E’ andato davvero tutto bene? E, soprattutto, finita l’emergenza, che cosa rimarrà di quanto appreso da questa esperienza? E’ possibile trarne alcuni insegnamenti che possano migliorare la didattica di quella che sarà la “nuova normalità della vita universitaria”? Per rispondere a queste domande, nel mese di giugno 2020 è stata condotta un’indagine nazionale sulla didattica a distanza fatta durante l’emergenza Covid-19.
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