A scuola con merito. Appunti per il Miur e per i sindacati
Titoli comprati, concorsi facilitati, selezione dei docenti inadeguata. Ecco cosa cambiare per rimettere al centro della scuola gli studenti e rimediare al problema del precariato patologico
La scuola, la fucina del futuro di un paese, non può essere un “postificio”. Mentre in tutto il mondo si studiano i nuovi modelli di apprendimento, in Italia si parla di banchi a rotelle e di assunzioni senza una strategia educativa. Per cambiare la scuola dobbiamo partire da due presupposti: la scuola non è un “postificio” e non tutti sono in grado o hanno la preparazione per potere insegnare. Il centro della scuola sono gli studenti, chi ha a cuore la scuola e il futuro dei ragazzi e delle ragazze. Non si può pensare di volere cambiare la scuola quando ci sono sindacati (e partiti che credono di conquistare voti assecondando corporativismi) che pretendono l’assunzione in ruolo per i propri iscritti senza un regolare concorso pubblico, senza alcuna selezione. Insegnare non è un diritto e non è semplice: servono percorsi di formazione per chi vuole intraprendere questa carriera. E finora questi percorsi abilitativi sono stati del tutto insufficienti per garantire una classe di insegnanti preparata.
Non servono assunzioni di massa, ma concorsi seri che non siano basati su prove preselettive a crocette, con banche dati rese pubbliche venti giorni prima della prova (ideali per le scimmiette ammaestrate). Come possiamo pretendere che la scuola cambi se uno dei pilastri su cui si fonda, il sindacato, è più interessato al numero delle tessere (fatte su trasferimenti e assunzioni generalizzate) che al funzionamento della scuola e alla dignità professionale di tutti i docenti? Tutti i sindacati della scuola portano avanti le stesse richieste da decenni: assumere i precari, non importa come, basta assumere tutti, indistintamente. Se parliamo di precariato diciamo le cose come stanno: i precari storici hanno avuto nel tempo diverse opportunità per superare un concorso e stabilizzarsi, se ora si trovano ancora in questa situazione significa che non ci sono riusciti oppure, semplicemente, hanno deciso di non tentare nemmeno la prova perché in ogni caso, visto il punteggio accumulato negli anni, la supplenza è assicurata.
Come è possibile che il Miur riconosca alle università telematiche la possibilità di rilasciare con estrema facilità titoli per salire in graduatoria? Con 500 euro puoi comprarti di tutto: master, certificazioni di inglese, di informatica, e così via. Per fare punteggio, al posto di fare un master (serio) in un’università che magari richiede, giustamente, la frequenza obbligatoria ed esami veri, si preferisce pagare “comprandosi” il titolo. Costano meno degli altri master (quelli veri), gli esami sono una farsa, a voi la scelta. Queste sono scorciatoie e che il Miur riconosca questo modus operandi non è degno di un paese civile. Per molte professioni ci sono esami da superare particolarmente impegnativi, senza il superamento di questi la professione non si può fare. Nell’insegnamento non è così.
Un’altra questione sempre legata al mondo del precariato patologico. Nel 2020 sono stati indetti due tipi di concorso, uno straordinario, con prove facilitate per i docenti che insegnano da più di tre anni, e uno ordinario, con prove aggiuntive per tutti quelli che non hanno mai insegnato o che insegnano da meno di tre anni. Perché facilitare chi insegna da più tempo, che quindi dovrebbe essere più preparato, piuttosto che mettere tutti di fronte alle stesse difficoltà? E’ così difficile parlare di meritocrazia nella scuola? Un mondo che valuta i ragazzi che però è ostile alla valutazione del proprio lavoro. Sin dall’inizio, per il punteggio in graduatoria si fa un po’ di tutto. Ad esempio, accettare una cattedra di sostegno senza avere alcuna preparazione e senza avere idea di cosa comporti rapportarsi con ragazzi problematici. C’è anche chi non accetta la nomina perché sa di non averne la qualifica, la decisione sta al docente e ad alcuni importa solo il punteggio. Perché invece non pensiamo di istituire, con l’adeguata frequenza, corsi di specializzazione abilitanti per il sostegno, gratuiti (o quasi) e tenuti dalle università (quelle serie)?
Per “aggiustare” il problema del precariato patologico l’unica cosa da fare è aumentare la frequenza dei concorsi, renderli autenticamente selettivi, basandoli su prove serie senza facilitare chi non è mai stato in grado di passarli. Dobbiamo sperare in un cambiamento dei sindacati verso una maggiore attenzione alla dignità professionale, al merito e soprattutto agli studenti, piuttosto che al collocamento del maggior numero di persone in cerca di occupazione.
Valentina Chindamo, docente (precaria) di Economia aziendale
generazione ansiosa