Qualcuno dice che è troppo facile dire “cinquanta e cinquanta”, dopo mesi di polemiche in cui la didattica online e quella in presenza hanno diviso docenti, intellettuali e tecnici al servizio della politica. Ma lui, Gaetano Manfredi, ieri alla guida della Federico II di Napoli e della Conferenza dei rettori, oggi ministro dell’Università e uomo di fiducia del premier, spiega che questa divisione pilatesca dell’insegnamento a metà, in parte scaricata sull’autonomia degli atenei, è anche la decisione scientificamente più coerente: “La pandemia – dice – ci ha imposto per la prima volta di valutare le conseguenze di un fenomeno che abbiamo fin qui ignorato o sottovalutato: gli studenti sono tutti nativi digitali. Vivono, studiano, parlano e amano con un linguaggio che è diverso da quello con cui il mondo della formazione e dell’istruzione si rivolge a loro. Lo sapevamo da tempo, ma l’atteggiamento dell’autorità è stato quello di credere che, se loro cambiavano, le istituzioni dovessero restare immobili. La crisi sanitaria è stato l’innesco di un processo trasformativo che, tuttavia, nessuno al mondo in questo momento sa quali sbocchi avrà e in che modo governare”.
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