Roma. “La scuola è il banco di prova non del governo ma del Paese, dopo troppi mesi di chiusura abbiamo bisogno di non sbagliare l'appuntamento”, ha detto ieri il capogruppo pd alla Camera Graziano Del Rio. E, in effetti, è attorno alla scuola che si addensano esigenze e tensioni contrapposte della fase post-emergenziali, con oscillazione tra due dubbi opposti e complementari: tornare al mondo di prima quanto più possibile o accettare l'impossibilità almeno temporanea di ritrovare la realtà pre-Covid? La scuola riaprirà in presenza e a tempo pieno: la decisione è stata presa, ma la sua applicazione può nascondere piccole insidie e trappole organizzative che rischiano di far crollare l'impalcatura messa in piedi con fatica. Ogni regione ha un'eventuale linea del fronte da scongiurare (edifici scolastici? supplenti? medici? tamponi? vaccini anti-influenzali?). E nel Lazio, la regione dove, oltre che nel Veneto, si è deciso prima che altrove per la soluzione “tamponi rapidi in caso di positività in classe”, ieri, alla presenza del viceministro dell'Istruzione Anna Ascani, il Pd locale, in un incontro con consiglieri regionali, consiglieri comunali, esponenti dei municipi e della dirigenza romana, ha messo a tema lo sfondo normativo (linee guida nazionali e legge regionale sulle scuole per bambini da zero a sei anni) che prelude a una riapertura in sicurezza di nidi e scuole d'infanzia, i luoghi dove è più difficile mantenere il distanziamento, vista l'età degli alunni, e dove l'emersione dei primi sintomi influenzali di stagione potrebbe mettere il sistema subito alla prova.
Ma aprire in presenza è la priorità. “Ci siamo resi conto come non mai”, ha detto Ascani, “di quanto sia fondamentale la relazione, la presenza, la condivisione di spazi, di sguardi, di attività. Abbiamo quindi lavorato per riaprire i servizi educativi e le scuole dell’infanzia e lo abbiamo fatto nel rispetto del diritto alla salute e mettendo insieme i diversi attori, perché nessuno può farcela da solo”. Tracciando una sorta di road map, il viceministro ha individuato il primo dovere delle istituzioni: “Ripartire e farlo in presenza e in sicurezza. Questo significa che dobbiamo fare uno sforzo per assicurare spazi e personale, e per stabilire le modalità per prendersi cura dei più piccoli. Dobbiamo garantire che tutte le strutture riaprano ma senza dimenticare che il nostro obiettivo è più a lungo termine. Dobbiamo infatti proseguire, investendo risorse sia culturali che economiche, nel solco tracciato dal lavoro di Maria Coscia in Parlamento, fino al decreto legislativo 65 del 2017, e arrivare a quel 33 per cento che è l’obiettivo minimo rispetto all’accesso allo 0-3. Lo Stato deve impegnarsi per garantire che le risorse stanziate siano effettivamente spese. Per questo faremo un monitoraggio vero per vedere se, rispetto al riparto che le regioni hanno fatto per i comuni, quei fondi sono stati effettivamente spesi. E per la prima volta ci sostituiremo alle regioni qualora risultassero inadempienti”. Dice Claudia Daconto, membro della segreteria locale pd e coordinatrice dell'incontro: “E' importante ora usare i fondi Mes per la Sanità con l'obiettivo di gestire senza panico questo periodo di convivenza con il virus e avere dunque il medico a scuola. In questo modo si possono da un lato rassicurare le famiglie e tutto il personale scolastico, dall’altro si può evitare di scaricare su docenti e dirigenti scolastici troppe incombenze e pressioni. Il medico insieme allo psicologo, perché la scuola va riaperta in sicurezza ma anche in relativa serenità. E a scuola servono figure specializzate per garantire la salute fisica ma anche quella psicologica”. Anche perché, come si sono accorti molti genitori durante il lockdown e con le lezioni a distanza, la non serenità va a discapito della qualità dell'insegnamento: non ci si può permettere di restare indietro sui programmi dopo sette mesi di chiusura.
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