Milano. Vincenzo De Luca ha chiuso motu proprio scuole e università, rischiando lo scontro istituzionale con Lucia Azzolina: il ministro ha ribadito numeri alla mano che la scuola non è (al momento) fonte di contagi e garantire la didattica in presenza è un dovere, e un diritto degli studenti. L’evoluzione della fase 2 però preoccupa, lockdown parziali e didattica a distanza non sono più tabù impronunciabili. Sebbene il problema non siano le aule ma i trasporti, sia chiaro, cioè il “ritardo della pianificazione”, come dice al Foglio il rettore del Politecnico di Milano, Ferruccio Resta. Ma in mancanza di trasporti adeguati, l’unica alternativa è una stretta sulla mobilità giudicata non essenziale, quella di una parte degli studenti. Dopo un vertice ieri pomeriggio, anche il governatore Attilio Fontana (Milano ha una situazione tra le più critiche) ha annunciato un provvedimento, ma sarà valutato dal Cts, che prevede la “didattica a distanza non assoluta ma parziale”, con “un’alternanza di didattica a scuola e a casa”, solo per le scuole superiori, mentre alle università “richiederemo di insistere sulla didattica a distanza ad esclusione delle matricole e degli specializzandi”. Alle posizioni del ministro dell’Istruzione contrarie al ritorno alla Dad si sono aggiunte in questi giorni molte voci: la didattica in presenza non si tocca, non punite la scuola. Anche Beppe Sala nei giorni scorsi aveva dichiarato che “sarebbe un errore che si vada in didattica a distanza totale a scuola e università”, aprendo però a una gestione mista. La critica allo stop delle aule è ovviamente legittima e motivata. Bisogna però non trascurare quello che è accaduto nella scuola e nelle università durante il lockdown, in termini di innovazione dell’insegnamento e tenuta del sistema, e non sprecare una trasformazione positiva già in atto. Certo, è più facile per le università. Quelle milanesi, chiamate in causa dal provvedimento annunciato di Fontana, hanno in questi mesi trasformato l’offerta didattica – un sistema “blended” tra online e presenza – hanno mantenuto se non aumentato le immatricolazioni (“la decisione di tanti giovani di iscriversi alle università anche in questi tempi difficili è un segno importante”, ha detto Franco Anelli rettore della Cattolica) e permesso agli studenti di tornare nelle classi. Innovazioni che hanno dimostrato di funzionare. “Oggi le aule sono per un ventenne il posto più sicuro dove stare – dice Resta – Ma se per un motivo di emergenza nei trasporti chi decide della sicurezza sanitaria ci chiede uno stop, siamo pronti per farlo senza compromettere la didattica”. Per il rettore della Bocconi, Gianmario Verona “oggi ci basta uno switch per passare subito da una didattica mista al tutto online; e credo valga per moltissimi atenei, l’emergenza e l’impreparazione iniziali sono state superate”. La Cattolica mette online tutte le lezioni anche fatte in presenza, garantisce ogni giorno l’accesso alternato al 50 per cento degli aventi diritto, anche se di questi solo un terzo, per lo più matricole, frequenta. “Siamo pronti a tornare online per l’alto numero di contagi, se ci arrivasse questa indicazione” aveva detto anche Elio Franzini, rettore della Statale, che ha adottato provvedimenti analoghi agli altri atenei. E’ evidente che per le scuole (superiori) è più complesso. Ma non va dimenticato (a parte il fatto che molte scuole lo scaglionamento orario lo fanno già) che durante il lockdown c’è stata una rivoluzione di capacità e strumenti che hanno permesso alla scuola di essere “presente” anche a distanza. Rifiutare in toto, o per un eccesso di volontarismo, l’idea di tornare a usare parzialmente quegli strumenti, in caso di necessità, sarebbe come negare che un cambiamento c’è stato e che la scuola deve valorizzarlo farlo crescere. Ma ancora, è più facile dirlo per le università. Resta coglie il punto: “Dobbiamo distinguere l’emergenza e il modello verso cui dobbiamo andare, l’università del futuro”. (segue a pagina quattro)
Spiega Resta: “Per l’oggi, avendo chiesto agli studenti di non essere presenti oltre il 50 per cento, abbiamo il 70 per cento delle matricole in aula. Ma non ho dubbi che il domani dell’università deve trovare un punto di incontro tra essere una comunità in presenza, perché è e sarà sempre fondamentale, e l’uso di strumenti che consentono altro. Abbiamo verificato che alcuni contenuti monodirezionali rendono meglio se forniti a distanza, e questo libera spazi per altri modelli di didattica in presenza. Stiamo lavorando con cinque atenei europei per istituire classi comuni in cui gli studenti potranno seguire insieme lezioni fatte in presenza in Germania o in Olanda. Questa è la direzione”. La Bocconi ha visto rientrare oltre il 70 per cento degli studenti, di cui la metà frequenta in aula. Ma Verona concorda: “Quello che abbiamo approntato è un modello misto, 20 per cento di corsi online, 70 in presenza (ora ovviamente a classi alternate e suddivise) e una rimanente quota di corsi super innovativi per concezione e tecnica. Saranno il futuro delle università”. Anche se c’è un problema, “che è il digital divide, ancora pesante in molte parti d’Italia, che crea disparità penalizzanti. Però la direzione è quella. Ma se ora sarà necessario uno stop, siamo pronti”.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE