Giusto ripartire da qui, perché si deve scaricare il meno possibile sui più giovani il peso della pandemia e perché in questi mesi studenti, insegnanti, presidi e persino genitori hanno dato il meglio di sé. E un ministro può tradire la cattiva politica del suo partito
Azzolina, chi lo avrebbe mai detto? Tra le grandi differenze registrate in tutta Europa tra la gestione della prima ondata e la gestione della seconda ondata vi è una questione molto delicata e molto controversa che contraddistingue il vero tratto di discontinuità tra la primavera passata e l’autunno presente. Quel tratto di discontinuità non ha a che fare solo con un tema di carattere sanitario – oggi, seppure con molti problemi, siamo in grado di convivere con circa 30 mila contagi al giorno, in primavera i contagi al giorno erano circa 4 mila – ma ha a che fare con un tema di carattere culturale che coincide con una delle parole in grado di evocare il futuro quasi quanto il sogno dei vaccini: la scuola. La stragrande maggioranza dei paesi europei che ha scelto di riadottare delle forme più o meno severe di lockdown – Francia, Austria, Germania, Irlanda, Scozia – ha deciso anche di lasciare aperte le scuole dell’infanzia, le scuole primarie e le scuole equivalenti alle nostre medie. E i paesi che hanno adottato questa scelta non lo hanno fatto solo per questioni legate ai contagi tutto sommato ridotti che si sono registrati in questi mesi nelle scuole ma lo hanno fatto per questioni legate a una volontà politica interessante da studiare: provare a mettere un intero paese al servizio della formazione dei più giovani.
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