La scuola ha subìto un terremoto dovuto alla pandemia. Docenti e studenti si sono trovati all’improvviso in una relazione educativa totalmente nuova. Chi scrive ha chiesto da subito di lavorare per un ritorno in presenza in sicurezza non perché sia contrario all’innovazione didattica, anzi. Ma perché consapevole che se l’innovazione didattica non era stata introdotta prima, non si poteva certo introdurla a forza. I docenti, le famiglie e gli studenti italiani sono stati buttati nell’acqua gelida e gli è stato detto “nuota!”. Senza però avere alcuna certezza dell’esito. Era un’emergenza, si è detto, ma non è un buon motivo per ignorare i rischi delle scelte fatte. Su cosa fare per il futuro sembra esserci un certo accordo tra gli osservatori: rendere davvero obbligatoria la formazione in servizio dei docenti, dare risorse per gli strumenti didattici e l’infrastrutturazione digitale delle scuole, ripensare l’edilizia scolastica per renderla sicura ma anche sempre più nella direzione di una vera e propria architettura per l’apprendimento. Ma prima di incamminarci su una strada lunga di ricostruzione occorre fare i conti con le macerie della pandemia.
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