Il nuovo Dpcm
Chiuse in zona rossa, "dipende" in zona arancione (decidono i governatori). La decisione sulle scuole
Scontro tra governo e Regioni su "chi" deve imporre le chiusure e sul criterio del 250 contai ogni 100mila abitanti
Se lunedì sera il neoministro dell’Istruzione Bianchi aveva avanzato dubbi sulla linea dura in zona arancione e gialla (“inaccettabile tenere i ragazzi a casa se i centri commerciali sono aperti”), oggi dal ministero dell’Istruzione ha prevalso il realismo
Roma. Lo dice chiaro l’Istituto Superiore di Sanità: la variante inglese sta diventando prevalente in Italia, bisogna rinforzare le misure. Ancora più chiaro il ministro Roberto Speranza, nella conferenza stampa sul Dpcm appena firmato da Mario Draghi: la curva del virus dà segnali di ripresa, questa fase non è da sottovalutare. La decisione è stata presa, per il Dpcm valido fino al 6 aprile: le scuole di ogni ordine e grado vengono chiuse nelle zone rosse, mentre nelle zone arancioni e gialle i governatori potranno disporre la sospensione dell’attività scolastica, con azione “chirurgica”, cioè in base al criterio unico aggiuntivo dei 250 contagi ogni 100 mila abitanti nell’arco di sette giorni oppure nel caso “di una eccezionale situazione di peggioramento del quadro epidemiologico”.
Dietro la stretta sulle scuole, ci sono i dati dell’Iss sulle varianti, gli studi del Cts e il confronto tra governo e regioni: due giorni di riunioni, l’ultima questa mattina, alla presenza del ministro per le Affari regionali Mariastella Gelmini, del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, del ministro della Salute Roberto Speranza, del coordinatore del Cts Agostino Miozzo, del presidente dell’Iss Silvio Brusaferro e del presidente del Css Franco Locatelli. E se lunedì sera il neoministro dell’Istruzione Bianchi aveva avanzato dubbi sulla linea dura in zona arancione e gialla (“inaccettabile tenere i ragazzi a casa se i centri commerciali sono aperti”), ieri, dal ministero dell’Istruzione, prevaleva il realismo all’interno di una discussione seria su un tema complesso. E trapelava una moderata soddisfazione per l’accoglimento di un parametro oggettivo (quello dei 250 contagi) che permette di decidere in modo omogeneo. Ci si preoccupava però del “come” stare vicini alle scuole e alle famiglie (in conferenza stampa, a sera, il ministro Gelmini rassicurava sul punto, dopo il confronto con i governatori e dopo che il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini aveva insistito sul tema).
C’era chi, come il governatore pugliese Michele Emiliano, aveva chiesto che fosse il governo a disporre le chiusure; e chi, come il governatore veneto Luca Zaia, aveva esternato perplessità per il nuovo parametro, a suo dire penalizzante per chi fa più tamponi. E, sempre sulla scuola, si registrava la “dolorosa presa d’atto” di Alberto Villani, membro del Cts e presidente della Società di Pediatria: “Che la scuola sia un posto sicuro è dato dai fatti con il distanziamento, uso della mascherina e igiene delle mani”, diceva a SkyTg24. “Ma questo non significa che ne può essere garantita la frequenza se fuori c’è una situazione allarmante”. Intanto le deputate e i deputati del M5s, in commissione Cultura, avevano invitato il governo “a difendere la scuola, unica penalizzata”. Quale provincia ha dati da chiusura scuole, ci si domandava infine, una volta firmato il Dpcm? E, da una stima di Youtrend su dati della Protezione Civile (ma le decisioni verranno prese su quelli dell’Iss), si evidenziavano 24 province, comprese quelle già in zona rossa, con superamento della soglia contagi, tra cui Bari, Frosinone, Salerno, Siena, Udine, Trento, Rimini. Ed emergevano 20 province con casi vicini alla soglia (tra i 200 e i 250), tra cui Milano, Arezzo, Caserta, Cuneo, Ferrara, Lucca, Massa-Carrara. E mentre dalla Lega il sottosegretario all’Istruzione Rossano Sasso definiva “inevitabile” (anche se “non piace”) la chiusura degli istituti in zona rossa, il ministro Speranza ribadiva il concetto-guida delle decisioni sulla scuola: non alimentare false illusioni”.