Oltre la Dad
Anticipare l'inizio dell'anno scolastico. C'è chi l'ha già fatto
"Credo valga la pena di ripetere l'esperienza"
La Lombardia in arancione scuro, gli studenti a casa, le parole del ministro Bianchi e una possibilità concreta (in esame a livello governativo). "Ma la Dad non è il nulla", dice la preside Patrizia Cocchi, che invita "a guardare le cose con equilibrio, di fronte alla grave situazione"
La Lombardia in regime “arancione scuro”; gli studenti in Dad (in tutta Italia) che passano da tre a sei milioni; il neo ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi che, sulla Stampa, spiega la necessità delle misure ma anche di un “ponte” verso l’anno prossimo: l’emergenza varianti ha costretto anche chi aveva speso parole per la “via francese” – cioè tutto chiuso tranne le scuole – a una virata brusca.
Ma c’è un modo per non soccombere al pessimismo: aprire prima le scuole, anticipando il ritorno in presenza a inizio settembre, come alcuni presidi hanno già fatto nel 2020. Se ne parla a livello governativo. “Credo valga la pena di ripetere l’esperienza”, dice Patrizia Cocchi, la preside del Liceo Scientifico Vittorio Veneto di Milano che lo scorso autunno ha fatto guadagnare agli studenti del primo e secondo anno due settimane di quel tempo dal vivo interrotto da febbraio. “L’idea di aprire prima era nata dall’esigenza di affrontare meglio un anno scolastico che comunque non si annunciava semplice, e di dare la possibilità a chi si affacciava alla scuola superiore di incontrarsi e conoscersi, avendo davanti un mese intero per porre le basi di un lavoro di gruppo, nonostante il rischio di tornare alla Dad nei mesi successivi. Cosa che poi è avvenuta”. E se l’ipotesi di prolungare l’anno scolastico sembra tramontare prima di prendere quota, quella di anticiparne l’inizio è invece una possibilità concreta. Anche sulla base dell’esperienza accumulata sul campo.
Oltre ad assicurare la scuola in presenza anticipata a settembre agli studenti dei primi anni, racconta Cocchi, si è cercato di usare il mese di settembre per permettere anche agli altri, a turno, di poterci essere dal vivo tutti i giorni: “Metà classe in presenza, metà da casa a seguire la lezione da remoto in sincrono, con rotazione dei gruppi a settimane alterne”. E anche se poi, con l’avanzare dell’autunno, si è dovuti passare a un assetto diverso (due terzi a scuola, il resto a casa) e ora alla Dad totale, l’anno “anticipato” assume il valore simbolico di una ripartenza costruttiva, tanto più che Bianchi ha parlato di una scuola nuova, in un futuro in cui anche la didattica a distanza, migliorata, possa restare a supporto di quella tradizionale. Ci sono però già molte proteste. Patrizia Cocchi invita a una presa d’atto della gravità del momento: “In attesa che si riesca a vaccinare il personale scolastico – la prima urgenza – credo sia importante ricordare che il diritto alla salute deve andare di pari passo con il diritto allo studio. Lo scorso anno ci sono state settimane in cui si è venuto a sapere della morte di uno o due nonni per classe. Per evitare che una situazione simile si ripeta, la priorità è mettere al sicuro le persone fragili. E la Dad è una didattica diversa, ma è comunque didattica”. La preside del Vittorio Veneto vorrebbe infatti sfatare il mito negativo della scuola da remoto che “non è scuola” o è un “meglio che niente” rabberciato. “Certo, in presenza è preferibile, ma viste le condizioni di pericolo, se il virus si diffonde, se i giovani diventano un veicolo, la Dad si rende necessaria. Ma non è il nulla”. Dipende anche dalla regione. Al sud non è come al nord. “Si deve infatti lavorare in fretta sulle infrastrutture. E ricordo che le scuole hanno ricevuto dal ministero, nel corso dell’anno appena trascorso, molti fondi per i device e la connessione veloce. Ma, ripeto, di fronte al rischio di mettere a rischio ospedali, malati cronici e anziani, cerchiamo di guardare le cose con equilibrio”.