Un confronto
Prima di parlare dell'esame di maturità italiano, guardiamo quello inglese
Severità e lassismo. Ma la differenza più sostanziale, tuttavia, non è tecnica ma culturale
Con l’Inghilterra che annulla per la seconda volta di fila i propri temutissimi esami di maturità (i cosiddetti A-level) e l’Italia che decide di far svolgere i propri pandemia nonostante, la bilancia dell’oggettività o addirittura della severità pare pendere dal nostro lato. Non è così; l’apparenza inganna. È accaduto che Ofqual, l’ente che regola lo svolgimento degli A-level in Inghilterra, col perdurare dell’emergenza ha dovuto trovare un piano B rispetto al regolare svolgimento degli esami. I risultati di ogni studente saranno quindi stabiliti direttamente dai suoi insegnanti, che entro il 18 giugno dovranno sottoporli all’approvazione di commissioni esaminatrici centralizzate. Gli insegnanti terranno una seduta preventiva con gli alunni, in cui illustreranno i criteri di valutazione; i voti verranno però comunicati nella forma tradizionale, con invio a domicilio in agosto da parte della commissione centralizzata.
In attesa che Ofqual pubblichi le linee guida nazionali, due cose sono certe: le commissioni forniranno training specifico agli insegnanti su questa valutazione eccezionale; non saranno riutilizzati i freddi (e qua e là deliranti) algoritmi che lo scorso anno avevano sancito i voti in base a modelli astratti, riferiti alle statistiche degli esami sostenuti da altri studenti nella stessa scuola durante le precedenti estati. La cosa più probabile è che si ricorra a una valutazione imperniata soprattutto sulle simulazioni d’esame – quelle vere, svolte in aula durante l’anno scolastico – che però hanno il guaio di essere state tenute sotto un velo di ignoranza, quindi di dover venire valutate con criteri retroattivi. Del resto viene dato per scontato che le commissioni dovranno il più possibile indirizzare la valutazione fornita dagli insegnanti, vigilare su di essa e magari limarla poiché, ovviamente, costoro tenderanno a essere più generosi nel dare i voti ai propri alunni, a maggior ragione in un contesto di evidente stress collettivo come l’attuale.
Quindi gli inglesi sono diventati buoni mentre noi conserviamo un certo grado di spietatezza, convocando i nostri ragazzi a regolari Esami di stato, benché monchi? No. Ci sono alcune differenze macroscopiche. In Italia gli esami saranno svolti sotto commissioni monopolizzate da docenti interni al consiglio di classe, col solo presidente esterno, e daranno risultati immediati non coordinati centralmente; in Inghilterra viene giustamente ritenuto che, se gli studenti devono essere valutati dai propri stessi insegnanti, tanto vale non far svolgere affatto gli esami, che risulterebbero una sorta di ballo in maschera (o in mascherina). In Italia le quinte superiori affrontano in questi giorni le prove Invalsi, che hanno il pregio di costituire un parametro oggettivo di valutazione degli apprendimenti ma il difetto, anche quest’anno, di non essere necessarie come prerequisito agli Esami di Stato.
In Inghilterra, con tutte le difficoltà, la strada intrapresa è opposta. Infatti, in termini di severità, l’oggettività è garantita dall’azione delle commissioni che instrada la valutazione degli insegnanti; in termini di clemenza, la stessa oggettività è garantita agli studenti dalla possibilità di contestare il voto qualora non rispecchiasse le linee guida nazionali e univoche. Sarebbe stucchevole far notare che in Italia l’appello contro i risultati della maturità si fonda sovente sull’evenienza che il voto non rispecchi le aspettative soggettive di alunni e, orrore, genitori. La differenza più sostanziale, tuttavia, non è tecnica ma culturale. A leggere le interviste ai maturandi inglesi dopo la sospensione degli esami, è tutto un fiorire di recriminazioni perché i diplomati di quest’anno saranno additati a vita come graziati del lockdown, cocchi della maestra, inaffidabili mammolette che l’hanno scampata bella. In Italia niente di tutto questo: l’esame di maturità ci interessa come fenomeno di costume o soddisfazione personale, come emozione o spettacolo, mai negli effetti a lunga gittata.