Gli errori sulla Dad che rischia di combinare il ministro Bianchi
Non c'è alcuna patologia da curare: la didattica digitale non ha funzionato perché l'apprendimento degli studenti è più solido dal vivo e sul cartaceo
Al direttore - Il primo, indiscutibile, merito del neo ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi è quello di non essere Lucia Azzolina. Il fatto, poi, d’essere un economista da tempo applicato ai problemi della scuola e di aver avuto una concreta esperienza amministrativa come assessore in Emilia Romagna lascia ben sperare. Teoria e pratica non dovrebbero sfuggirgli.
Lo metto comunque in guardia dal compiere due errori solo in apparente contraddizione: mitizzare la Didattica digitale e psicanalizzare gli studenti turbati dalla Didattica digitale. Mi spiego. La commissione Istruzione del Senato, di cui faccio parte, sta indagando il funzionamento della Didattica a distanza (Dad), poi, senza che nulla fosse concretamente cambiato, ribattezzata Didattica digitale integrata (DDI). Gli esperti auditi hanno rimarcato due criticità: la didattica digitale non ha funzionato non solo perché non ha raggiunto molti studenti, ma anche perché si è limitata a trasferire sul web lo schema classico della lezione frontale; i lockdown e la privazione delle lezioni in presenza hanno compromesso la socialità dei giovani acuendo quell’ampia serie di disagi psicologici che già da tempo li affliggevano. Nel mio partito albergano sensibilità diverse, ma sono personalmente convinto che non è investendo nel digitale e mettendo in cura gli studenti che ne usciremo. Ne usciremo con naturalezza quando la pandemia sarà debellata e un po’ alla volta torneremo alla normalità.
Molte ricerche internazionali, infatti, dimostrano che più la scuola si digitalizza, più cala l’apprendimento degli studenti. La stessa lezione fatta dallo stesso insegnante in video lascia in chi la segue il 30% di conoscenza in meno. La lettura su dispositivo digitale pregiudica la memoria del 20% rispetto alla lettura su carta. La scrittura a mano (e in corsivo) attiva piste cerebrali che la scrittura su IPad o simili lascia invece inerti. La dipendenza da digitale è il male che affligge i nostri giovani, che come milioni di loro omologhi dei paesi più tecnologicamente avanzati (Cina, Sud Corea e Giappone) andrebbero semmai disintossicati attraverso una sana astensione...
Ma Bianchi Patrizio Bianchi ha detto che “la Dad resterà anche dopo la fine della pandemia”. Capisco che la vera Didattica integrata non sia quella che i nostri studenti stanno sperimentando a scuola, ma piuttosto che investire risorse pubbliche nella digitalizzazione dell’Istruzione e nella relativa formazione degli insegnanti, riterrei saggio investirle sulla qualità del corpo docente, premiando in maniera significativa i più meritevoli. Temo che non accadrà. Così come temo che, dopo aver esaltato le magnifiche e progressive sorti del digitale, lo spirito dei temi incoraggerà il sistema scolastico a spalancare le proprie porte agli psicologi per mettere in cura un’intera generazione. Intervenendo in Commissione, l’autorevole psicanalista Simona Argentieri ha indicato la strada da evitare: “A preoccuparci non debbono essere i ragazzi che reagiscono ad una vita innaturale dando segni di disagio, ma quelli che sembrano adattarvisi serenamente”. La sua analisi è stata chiara. Non c’è alcuna patologia da curare, gli psicologi non debbono prendere in carico gli studenti, ma semmai istruire gli insegnanti su come interagire con loro in una fase così evidentemente complessa.
Su questi due temi, digitale e disagio giovanile, sarebbe interessante conoscere più nel dettaglio l’opinione del ministro Bianchi.
Andrea Cangini
Capogruppo di FI in commissione Istruzione al Senato