rompere l'assuefazione
La scuola “servizio essenziale”, da tenere aperto anche in zona rossa
Una “rete” trasversale sarà in piazza domenica in 25 città per chiedere la riapertura: "La didattica a distanza si riduce a mera trasmissione di nozioni, negando il ruolo fondante dell'istruzione"
I colori delle regioni, le chiusure, i controlli, i cambiamenti di fascia attesi di settimana in settimana e l’unica certezza: la scuola al momento chiusa. Anzi: richiusa. E ogni volta che si parla di riavviare attività il grande punto interrogativo e la grande paura riguarda sempre lo stesso argomento: la scuola riaprirà quando ci si aspettava riaprisse, nella maggior parte dei casi dopo Pasqua, oppure la didattica a distanza proseguirà, presentata come “unica opzione”, mentre in altri paesi europei (vedi la Francia) anche nelle zone sottoposte a restrizioni “rosse” la scuola resta aperta? Quale potrebbe essere la via per tenerla aperta, la scuola, ci si domanda, pur tenendo conto che il rischio zero non esiste?
Ed è anche per riaccendere il dibattito sul punto e per ribadire la necessità di percorrere tutte le vie possibili prima di tenere chiuse le scuole (vedi test a tappeto sugli studenti e adeguamento dei trasporti, tanto per cominciare) che domenica 21 marzo si ritroveranno in piazza, distanziati, con mascherina (in Piazza del Popolo a Roma, alle 15, e in contemporanea a Milano e in altre 23 città, in 12 regioni) i genitori, gli studenti, i professionisti e gli insegnanti che hanno raccolto l’invito della rete nazionale “Scuola in presenza e a difesa dell’articolo 34 della Costituzione”. La richiesta è una: che la scuola venga “equiparata a un servizio essenziale che rimanga aperto sempre, a prescindere dai colori delle regioni”. Oltre all’emergenza sanitaria “c’è un’emergenza economica e un’emergenza sociale e culturale”, dice la giornalista Maddalena Loy, nel comitato organizzatore.
Comitato “di società civile che non ha partiti o sindacati dietro: siamo cittadini che hanno deciso di fare sentire la loro voce perché un’alternativa alla chiusura c’è”. “A fronte delle evidenze scientifiche”, dicono i promotori, “il principio di precauzione va ribaltato: è più prudente da tutti i punti di vista – a cominciare dal tracciamento – tenere aperte le scuole, non chiuse”. L’Italia è il paese in cui, a differenza di altri grandi paesi europei, le scuole sono state sbarrate per 29 settimane. “Il principio di proporzione (rischi/benefici) ci appare profondamente sbilanciato a sfavore dei nostri figli”, dicono i promotori della manifestazione. Intanto ci sono le rilevazioni fatte dall’Unesco qualche giorno fa – scuole aperte in Spagna, Francia, Austria, Croazia, Svizzera, Finlandia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Romania. E aperte con modalità ridotte ma comunque aperte in Gran Bretagna, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Ungheria e Albania.
La scuola, dice la Rete, in base all’articolo 34 della Costituzione, è “aperta a tutti: tutti i giovani hanno diritto a un percorso di studi di qualità”. E se a livello governativo si sta lavorando a un piano-ponte per aprire le scuole d’estate (per laboratori e attività ricreative, per chi vuole), la rete “Scuola in presenza” – che raggruppa al momento oltre 20 comitati e associazioni di genitori, insegnanti e studenti, per un totale di circa 40 mila aderenti – vuole agire sull’oggi: riaprire prima possibile. “Siamo consapevoli della complessità dell’emergenza Covid-19, ma anche preoccupati per la mancanza di attenzione rivolta alle nuove generazioni, il capitale umano su cui si fonda il futuro dell’Italia. La didattica a distanza, spesso imposta in modi e tempi arbitrari dai presidenti di regione, riduce l’istruzione a mera trasmissione di nozioni, negando il ruolo fondante della scuola come luogo di crescita sociale, di sviluppo della personalità individuale e, tema non secondario in Italia, di presidio della legalità”. Primo obiettivo della manifestazione: rompere l’assuefazione, puntare sul fatto che chiudere le scuole è una scelta e non una via obbligata.