Dad e disuguaglianze, le lezioni dell'Invalsi
I test mettono in prospettiva diciassette mesi di dibattiti su banchi a rotelle e Dad, scuole chiuse e priorità vaccinale agli insegnanti
Da oggi sappiamo un po’ meglio e un po’ di più che cosa è successo ai nostri ragazzi durante il Covid. Il ritratto ce lo fornisce Invalsi, che fortunatamente nel 2021 ha effettuato i test standardizzati cancellati nel 2020 e li ha presentati ieri al pubblico. Gli esiti bruciano, fanno male, ma vanno osservati con attenzione, senza distogliere lo sguardo. Perché mettono in prospettiva diciassette mesi di dibattiti su banchi a rotelle e Dad, scuole chiuse e priorità vaccinale agli insegnanti.
Primo insegnamento: Dio benedica gli Invalsi. Un istituto spesso osteggiato da partiti e ministeri, sopravvissuto a stento negli anni più difficili, ma oggi in grado di restituire ai decisori una bussola chiara per rimettere mano al nostro sistema di istruzione. Dopo decenni di conflitto, oggi i ragazzi e gli insegnanti non boicottano più i test, che quest’anno sono stati eseguiti da oltre due milioni di persone con una copertura del quasi sempre superiore al 90 per cento. Due sole le eccezioni: Campania (per i test dell’ultimo anno delle superiori) e Puglia (per tutti i test effettuati), a dimostrazione che i segnali dati dalle autorità locali contano molto nel determinare i comportamenti.
Seconda, amarissima lezione: il Covid ha colpito duro. Tutte le regioni peggiorano i loro risultati: è un dato doloroso, perché grattando sotto la superficie dei dati degli anni pre-pandemia, si registrava un pur tenue ma costante miglioramento, anche nelle regioni più critiche. I lockdown hanno ha sepolto questo miglioramento: la quota degli studenti che non raggiunge il livello minimo passa dal 35 per cento del 2019 al 44 per cento del 2021 per italiano. Dal 42 per cento al 51 per cento in matematica. Negli anni passati gli esperti si rallegravano anche per un punto percentuale di miglioramento.
Terza lezione: il Covid ha colpito in maniera diseguale, e la Dad ha accentuato il danno. Le superiori hanno fatto peggio della primaria (che ha chiuso meno), il Sud ha fatto peggio del Nord, gli studenti di famiglie svantaggiate hanno fatto peggio di quelli che vivono in contesti più benestanti. Se dovessimo fare l’identikit dello studente più colpito dalla pandemia, sarebbe una ragazza adolescente, con alte performance prima del lockdown, appartenente a una famiglia svantaggiata che vive in una delle regioni che hanno fatto più chiusure. E il danno più grave è sulla matematica. A dimostrazione che le famiglie più ricche e colte, con case più grandi e migliori connessioni hanno colmato i buchi lasciati dalla Dad. Che invece ha tolto agli studenti svantaggiati la possibilità di far valere il loro potenziale. Un danno di rango costituzionale, che ci ricorda come la scuola resti l’ultimo strumento efficace di uguaglianza delle opportunità in una paese occidentale.
Quarto insegnamento: chiudendo, la scuola ha abbandonato i suoi studenti. Cresce anche la dispersione implicita, quella degli studenti che terminano la scuola superiore, ma lo fanno con competenze di base fortemente inadeguate: si passa dal 7 per cento del 2019 al 9,5 per cento quest’anno, con picchi del 14,8 per cento al Sud. Prima ancora che una dote ai diciottenni, serve un piano per non perdersi i quindicenni.
Non si scappa: questi dati richiedono azioni forti quanto quelle intraprese per far fronte al virus. Anzitutto serve cura e continuità: recuperi anche fuori dal tempo scuola, che accompagnino gli studenti più fragili e facciano riemergere le potenzialità di quelli più promettenti, affiancandoli per tutta la durata del prossimo anno scolastico.
Poi servono interventi mirati nei territori. A settembre saranno disponibili i dati Invalsi per singola scuola: non vanno esibiti per punire le scuole peggiori, ma usati per individuare quelle più fragili. Che spesso sono anche quelle sottoposte al più vorticoso turnover di docenti per colpa della mobilità selvaggia. Incoraggiare, anche nel contratto nazionale docente, la permanenza dei bravi insegnanti nei contesti difficili, anche pagandoli di più, è un intervento urgente e fattibile.
Infine, e ci si perdonerà la banalità: serve tornare a scuola, e farlo presto, in presenza, senza alibi. Per tutto il 2020 molti studenti non sono andati a scuola per non contagiare i più anziani. Nell’inverno trascorso gli studenti non si sono vaccinati per lasciare la priorità ai più anziani, insegnanti in primis. Il danno è stato enorme, lo abbiamo visto. Non possiamo aggravarlo con la beffa di un settembre a porte chiuse.