Nessuna demagogia
Ragioni a favore dell'obbligo vaccinale per il personale scolastico
A pochi giorni dalla ripartenza sono circa centottantamila a doversi vaccinare. Dalle sentenze della Corte costituzionale a quelle del Tar: ecco perché l'approccio adotatto con con le professioni sanitarie può valere anche per le scuole
In vista della riapertura delle scuole, si confrontano diverse posizioni circa la vaccinazione dei docenti e degli altri dipendenti scolastici. Ma il ritorno al regolare andamento delle lezioni è una priorità assoluta. Com’è stato indicato dal Presidente della Repubblica il 28 luglio, i sacrifici imposti dalla pandemia sono stati particolarmente gravi nel campo della scuola: “abbiamo registrato danni culturali e umani, sofferenze psicologiche diffuse che impongono di reagire con prontezza e determinazione. Occorre tornare a una vita scolastica ordinata e colmare le lacune che si sono formate”. Per farlo, è imprescindibile il contributo di tutti. I dati più recenti attestano che è stata somministrata la prima dose a più di un milione e duecentomila persone impiegate nelle istituzioni scolastiche, pari all’84 per cento, mentre coloro i quali hanno ricevuto la seconda dose o quella unica sono poco meno di un milione e centomila, pari all’81,8 per cento.
Tuttavia, i progressi recenti sono modesti. Ciò è grave, soprattutto a poche settimane dalla riapertura delle scuole. Inoltre, il numero complessivo dei non vaccinati è tutt’altro che trascurabile, perché si tratta di circa centottantamila persone, pur se non pochi potrebbero aver già contratto il virus o non essere in grado di ricevere il vaccino. Infine, i vaccinati sono distribuiti in modo disomogeneo, perché in alcune regioni sono state somministrate due dosi quasi all’intero personale scolastico, in altre a poco più di un terzo. Per ridurre tali disparità, per convincere gli altri dipendenti delle istituzioni scolastiche a vaccinarsi, il governo ha ispirato la propria azione a criteri di cautela e gradualità: con il completamento della ricognizione sulla situazione attuale, con il dialogo con tutte le forze sindacali, con l’utilizzo del green pass. Sono accorgimenti necessari, ma possono risultare non sufficienti, perché – com’è stato segnalato dall’associazione dei presidi – i controlli previsti sono macchinosi.
Inoltre, la comunicazione pubblica sui vaccini è stata costellata di indicazioni frammentarie e contraddittorie, per esempio sull’età in cui un determinato vaccino era consigliabile. Si deve fare di più e di meglio per informare tutti sulle caratteristiche dei vaccini disponibili, sul grado di copertura che essi offrono rispetto alle varianti del virus, sui casi nei quali essi hanno dato luogo a criticità. Detto ciò, si pone una questione delicata: se il governo non riuscisse a ottenere significativi e tempestivi incrementi nel numero dei docenti e degli altri dipendenti che hanno ricevuto il vaccino, potrebbe imporre l’obbligo con un decreto-legge? Vi sono tre buone ragioni per prendere sul serio questa soluzione. Anzitutto, un obbligo di questo tipo è stato stabilito rispetto agli esercenti le professioni sanitarie. Come il servizio sanitario, quello scolastico è un servizio pubblico nazionale, per il quale le diversità territoriali sono ammissibili solo entro limiti assai stretti, per evitare che siano messi a repentaglio i diritti dei più deboli.
Non va dimenticato, inoltre, che l’istruzione è obbligatoria per almeno dieci anni, come la Corte costituzionale ha sottolineato nella sentenza n. 5 del 2018, riguardante gli obblighi vaccinali disposti dal decreto-legge “Lorenzin” del 2017. Quella sentenza è importante anche per un’altra ragione: la Corte ha ribadito che la scelta di rendere obbligatori determinati trattamenti vaccinali non è irragionevole, giacché serve a tutelare la salute individuale e collettiva, coerentemente con l’articolo 32 della Costituzione. Ha aggiunto che l’obbligatorietà di tali trattamenti vaccinali è correlata con il basilare dovere di solidarietà in vista della prevenzione della diffusione di alcune malattie. Ciò vale, a maggior ragione, in presenza d’una pandemia. La Corte ha anche affermato la competenza legislativa esclusiva dello Stato, trattandosi di profilassi internazionale. È del tutto ragionevole ipotizzare che essa si atterrebbe ai medesimi orientamenti, se fosse richiesta di pronunciarsi sulla legittimità di un nuovo obbligo vaccinale, per i docenti. L’ultima ragione che induce a prendere sul serio l’ipotesi di un intervento governativo è che i giudici amministrativi stanno valutando con rigore i ricorsi presentati da alcuni medici contro le misure previste in ambito sanitario.
Per esempio, il 5 agosto il Tribunale amministrativo leccese non si è limitato a ribadire la prevalenza dell’interesse pubblico su a quello individuale, ma ha sottolineato che la ricorrente può “conseguire la cessazione di tutti i lamentati effetti pregiudizievoli adempiendo all’obbligo vaccinale”. Insomma, la vaccinazione è il presupposto necessario per l’esercizio della professione medica, nell’interesse di tutti e soprattutto dei più deboli. C’è, deve esserci, lo spazio per accertare eventuali incompatibilità con i vaccini. Non c’è spazio, invece, per la demagogia.