Il caso delle cattedre mancanti
Nella testa dei prof. "rinunciatari". Piccolo sondaggio informale
Perché sempre più docenti rinunciano alla cattedra? Viaggio tra i precari della scuola, che preferiscono aspettare
C’erano una volta i tempi in cui il mestiere di professore era considerato un punto d’arrivo, tanto che chi rinunciava alla cattedra lo faceva per cause di forza maggiore o per sopraggiunta carriera in altro campo (fare lo scrittore, per esempio). Ma oggi, di fronte a una situazione che, agli occhi dei non addetti, ha dell’incredibile – la mancanza (massiccia) di professori a inizio anno, nonostante la ricerca di un lavoro nel campo sia difficile e l’insegnamento, a parole, resti un settore ambito – ci si domanda senza preconcetti che cosa passi nella testa di chi potrebbe avere una cattedra domani ma rinuncia. E se si va a chiedere delucidazioni in modo informale ai diretti interessati, si scopre intanto che, se si agisce in modo apparentemente assurdo, è anche perché “il sistema” lo permette, vista l’intricata rete di regole e automatismi che rendono paradossale la situazione: senza andare nel dettaglio tecnico, spesso si verifica per esempio il caso di persone che vorrebbero una cattedra “superate” da chi quella cattedra non la vuole.
Quello che emerge da una serie di conversazioni informali con docenti alle prese con la decisione di accettare o meno un posto temporaneo può lasciare perplessi dal punto di vista della motivazione del singolo, ma anche rispetto a un’architettura generale delle convocazioni che non riesce ad arginare il fenomeno a monte. E dunque, perché rinunciano, i docenti? Le risposte ricevute vanno da “perché ho un altro lavoro anche se saltuario e o mi conviene davvero prendere quella cattedra o lascio perdere” a “non arriverò mai alle 8 del mattino lì” a “spero, rinunciando a una supplenza di tre mesi, di averne poi una più lunga — per una maternità, per esempio”. Peccato che poi si crei una sorta di imbuto che ritarda anche l’assegnazione della cattedra di tre mesi. Dice poi una docente: “Io ero interessata soltanto agli spezzoni orari ma quelli rimasti erano troppo distanti da dove abito. L’anno prossimo potrò prendere una cattedra intera e sarà tutto diverso”. E un altro professore: “Mi è arrivata una convocazione molto scomoda, non so se rinunciare da subito”. Oppure: “Ieri sera ho ricevuto una mail insieme a venti persone per una presa di servizio stamattina alle 8. L’avrebbero data al primo in graduatoria che si fosse presentato. Ho rinunciato perché per me non era possibile essere lì a quell’ora” a “insegno in una paritaria da anni, e fino a quando non divento di ruolo non ho intenzione di muovermi da lì, ho lo stesso contratto della statale”.
C’è gente che fa domanda, ma poi rinuncia al posto in una scuola pur scelta nella fase di espressione delle preferenze. E a questo punto, senza pretesa di districarsi, da esterni, tra graduatorie provinciali e d’istituto, e fermo restando il caso dei tanti che hanno reali motivi per non accettare l’incarico, si resta con il dubbio che la complicata macchina del reclutamento azzoppi le migliori intenzioni, tanto che il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha rispettato i tempi di immissione in ruolo e assegnazione supplenti, ma poi è scoppiato lo stesso il caso dei professori mancanti.
generazione ansiosa