diario di un prof
Da Zola a “Squid game”, studiare a scuola la lotta per sopravvivere
I ragazzi messi alla prova dalla società dei vincitori: per gli altri niente pietà
Riuscire a incrociare il passato e il presente, ecco la più grande soddisfazione per un insegnante. “Vedete, non vi sto parlando di cose morte, sepolte e putrefatte nel cimitero del tempo perduto, non sto spolverando noiosissime statue di marmo, quello che stiamo studiando ritorna, si ripresenta, basta tenere gli occhi aperti e l’attenzione sveglia!”. Questa settimana abbiamo affrontato il positivismo di Auguste Comte, la critica alla dimensione puramente fantastica della vita professata dai Romantici in nome di una realtà che è brutale ma può essere trasformata. Madame Bovary si perde inseguendo i suoi caramellosi sogni d’amore, devastata dai debiti, da amanti insensibili, avidi, tremendamente reali, dalla vita spietata che travolge e passa avanti. E abbiamo studiato Darwin, la lotta per la sopravvivenza, la selezione naturale che è, secondo le nuove teorie scientifiche, il motore dell’intera esistenza. Il polemos, cioè il conflitto, la scontro, la guerra è la dinamica di fondo dell’esistenza, lo affermava già Eraclito nel frammento 53. Insomma, ora c’è tanto da leggere, tanta narrativa dell’Ottocento ha provato a raccontare la ferocia della società, divisa in vincitori e vinti, in fortunati e in umiliati e offesi, dove è il denaro la prima e sostanziale differenza: i poveri sono tritati dalle ruote dentate dell’economia, si perdono per un debito, una cambiale, una collana da dovere restituire a tutti costi, come nel bellissimo racconto di Maupassant.
E oggi le cose sono forse cambiate? Certo, ci sono state grandi lotte popolari per rendere più giusta la società, decenni in cui tanti giovani hanno lottato per questo obiettivo, ispirati dai valori della solidarietà, della giustizia sociale, dell’onestà intellettuale. Ma ora sembra che siamo tutti di nuovo gettati nella competizione, e ognuno fa la sua corsa, sgomita, studia, combatte, scalcia per ottenere qualcosa in più degli altri, per sfuggire alla minaccia della disoccupazione, del precariato a oltranza, della miseria. Ora il mercato domina sulla vita delle persone, che diventano spesso pure funzioni, e basta un nonnulla per essere estromessi e precipitare nella disperazione. Ed ecco che la lezione del passato, le storie narrate dagli scrittori naturalisti, di Zola e Dickens e Dostoevski improvvisamente trovano una conferma in nuove narrazioni. Questa è la settimana in cui tutti i ragazzi, in ogni scuola d’Italia e dunque anche nella mia, a Torre Maura, parlano di “Squid Game”, la serie sudcoreana trasmessa da Netflix. Come si dice a Roma, “ha fatto er botto”, conquistando l’attenzione di milioni di spettatori, spazzando via ogni altra proposta.
L’idea è strepitosa: quasi cinquecento persone che a Seul sopravvivono sul ciglio della miseria, sommersi dai debiti, senza via di uscita, vengono inserite in una sorta di gioco mortale. Dovranno superare sei prove, che all’apparenza sono giochi da bambini, ma che prevedono la morte per chi non le passa. In cambio, una montagna di soldi che si accumula in un mega-salvadanaio appeso in alto. Solo uno potrà incassare tutto quel denaro, gli altri creperanno. Sono nove puntate che si seguono con il cuore in gola, accanto a personaggi delineati perfettamente, succubi volontari di una carneficina che però potrebbe anche proiettarli nel cielo strettissimo dei vincenti. In classe abbiamo discusso a lungo dell’immaginario collettivo che si va definendo in questi anni: ormai sono moltissimi i programmi televisivi costruiti secondo la logica del dentro o fuori, della competizione assoluta. “Solo uno di voi due, di voi cinque, di voi cento ce la farà”, recita il conduttore di queste competizioni devastanti, e subito si susseguono i primi piani dei concorrenti in spasmodica attesa. Nessuna pietà per i vinti, per gli esclusi. La figura del “loser”, che tanto affascinava i giovani della mia generazione, raccontata in tanti film, da “Un uomo da marciapiede” a “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, non incanta più. Vale solo chi vince, gli altri scompaiono nel nulla. La selezione darwiniana, annunciata dalla letteratura realista dell’Ottocento, ora è diventata esplicita, e gli studenti lo hanno capito in pieno, soprattutto quelli che vivono sui bordi della società, senza protezioni e senza grandi possibilità. Sono state lezioni appassionanti, Maupassant, Zola e “Squid Game” si sono intrecciati in una sola feroce vicenda, che è quella di prima e più che mai di oggi. Percorsi di consapevolezza, percorsi accidentati, e la scuola pubblica sta lì, accanto ai nostri ragazzi, li forma, li protegge fin che può, e poi li saluta: il mondo li aspetta, come un gioco infernale.