diario di un prof
Lezione sul determinismo (con l'aiuto di Edoardo Albinati)
Scuola cattolica o di borgata, il destino di un ragazzo non è mai segnato: qualunque sia il condizionamento economico e culturale, ogni persona contiene una x, un’incognita privata che può trasformare in mille modi differenti l’equazione che ognuno di noi rappresenta
Settimane fortunate, in cui il programma scolastico si ravviva a contatto con il presente, sassi che battono uno contro l’altro, fanno scintille e accendono l’attenzione. In classe siamo ancora studiando il Naturalismo, la corrente letteraria che rimise la realtà nuda e cruda al centro delle sue opere. E uno dei suoi aspetti fondamentali, teorizzato da Hippolyte Taine, è senz’altro il determinismo: nessuno si illuda di essere unico, irripetibile, eccezionale, siamo tutti il risultato di condizionamenti sociali, storici, genetici che si sommano tra loro fino a comporre un’esistenza pressocché inevitabile. Milieu, moment, race sono in francese i termini che indicano le pressioni che la nostra malleabile creta subisce: ambiente, momento, razza. Chi nasce in un certo luogo, in un certo periodo, figlio di tali genitori sarà plasmato inesorabilmente da quelle mani sempre al lavoro. Ogni illusione romantica di straordinarietà è una poetica menzogna.
Tante volte, per far capire meglio questo concetto, cito allegramente la zebra di “Madagascar”, star indiscussa dello zoo di New York, invasa dalla presunzione di essere una creatura particolare, che un giorno si ritrova in Africa in mezzo a una mandria di consorelle: e sono tutte uguali, quasi irriconoscibili, indistinti quadrupedi strisciati di nero, prodotti obbligati della savana e del seme che le ha generate. “Come no, certo, Marty, la zebra scappata dallo zoo che si confonde nel branco”, ripetono i ragazzi, e il determinismo positivista diventa improvvisamente un po’ più chiaro. Ma questa settimana la pietra di paragone è un’altra, è “La scuola cattolica”, il film di Mordini tratto dal romanzo di Albinati che ha vinto nel 2016 il premio Strega.
E’ stato accolto e recensito piuttosto male dai critici cinematografici e anche a me ha convinto poco, però sta avendo un grande successo nelle sale, anche se la censura ha fissato un inspiegabile divieto per i minori di diciotto anni. Il trailer raccoglie centinaia di migliaia di visualizzazioni e tutti i ragazzi, compresi i miei studenti, desiderano assolutamente andare a vedere questo film per conoscere meglio la storia di quell’atroce massacro al Circeo, l’ambientazione, i protagonisti, aguzzini e vittime, giovani come loro. Il romanzo di Albinati, e in modo piuttosto confuso anche il film, si basa su un assunto che sarebbe piaciuto anche a Taine e Zola, e cioè che dal quartiere Trieste di quegli anni tremendi, da quel clima arroventato e fascista, da quella scuola cattolica e reazionaria, da quelle famiglie benestanti e disfunzionali, da quella assunzione aggressiva della sessualità maschile tutti i ragazzi furono toccati, e in fondo quasi chiunque sarebbe potuto entrare nel regno del male. Albinati nel suo libro lo dice bene, senza eccedere, tenendo presente anche le possibilità diverse, ma in fondo l’idea è questa. Un mondo oscuramente, intimamente violento ha generato figli violentissimi. Nel film addirittura si racconta di un doppio viaggio verso il Circeo, quello di Izzo, Guido e delle due ragazze, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, e in parallelo quello di Albinati, un compagno di classe un po’ fuori di testa e altre due ragazze. I primi vanno verso l’orrore, gli altri tornano indietro per cena: ma è come se il regista suggerisse che poteva esserci un finale tragico per tutti. Nel romanzo tutto questo per fortuna non c’è, Albinati è uno scrittore profondo, non cade mai in pericolose semplificazioni. Gli resta però la sensazione che quel contesto politico e sociale sia stato decisivo nella creazione di maschi brutali, segnati da un feroce delirio di onnipotenza.
Io la penso diversamente. Sono convinto che per quanto forte sia il condizionamento economico e culturale, ogni persona contenga una x, un’incognita privata che può trasformare in mille modi differenti quell’equazione. Da quella scuola cattolica, da quel quartiere, da quelle famiglie sono usciti migliaia di ragazzi che hanno preso migliaia di strade imprevedibili, ognuno con il suo passo e i suoi originali pensieri. Ed è quello che ho cercato di spiegare anche ai miei studenti: nascere e crescere in una borgata priva di tutto non impedisce a nessuno di impegnarsi per una vita migliore. Sono certo di quello dico, anche per un semplice motivo esistenziale: anche io ho trascorso l’adolescenza in quella scuola cattolica, in classe con Edoardo Albinati, accanto a Izzo e Guido e alla loro banda crudele, e oggi eccomi qua, incerto scrittore e felice professore di italiano e storia a Torre Maura.