diario di un prof
Dagli insulti al frocio al bagno “free gender”. Com'è cambiata la scuola
Michele o Lucrezia, ai ragazzi non interessa. La questione dell’identità sessuale non è un problema per loro, che hanno altre paure, come quella di non riuscire a sfangarla appena usciti da qui
Le cose cambiano, tutto scorre e si trasforma, e la tentazione quasi irresistibile è quella di sottolineare quanto tutto prima fosse meglio e quanto fa schifo il mondo di oggi, quanto prima prevalessero il rispetto e la gentilezza mentre ora tutto è volgare e feroce. A questa tentazione diabolica bisogna resistere, in fondo è soltanto una fisiologica nostalgia per la giovinezza volata via e nulla di più. Ho l’impressione che il mondo abbia sempre fatto schifo e sia sempre stato bellissimo, un intreccio stupefacente di orrore e splendore, e che ognuno di noi ogni volta sia chiamato a scegliere e a provare di raddrizzare quel legno che comunque nasce sempre abbastanza storto.
Ricordo il primo anno di insegnamento, professore in una scuola di recupero anni, uno di quei diplomifici dove i ragazzi cercano, grazie alle rette pagate dai genitori, di rimettere in sesto una carriera scolastica franata. Anche lì, comunque, provavo a far lezione meglio che potevo, e qualche volta mi sembrava di riuscirci, di riconquistare alla cultura menti inaridite dagli insuccessi. Però ricordo anche che in una classe avevo uno studente omosessuale che dovevo difendere quotidianamente dagli insulti e da spintoni e schiaffetti.
Attorno a lui il clima era davvero pesante, e il ragazzo era costretto a negare la sua natura, a giustificarsi, e io dovevo tenerlo accanto a me di continuo per sottrarlo a quelle minacce costanti. Ecco: quel tempo era tremendo, la vita di tanti studenti era una pura sofferenza, spessissimo erano discriminati, irrisi, umiliati: “A frocio, a rottinculo, te regalo un rossetto, resta a casa a spiccià la cucina, nun ce venì a scola coi maschi…”, era tutto così, un calvario per quel povero ragazzo. Ecco, sono passati quarant’anni e oggi il preside mi ha fermato in cortile per dirmi che per Lucrezia è quasi pronto il bagno “free gender”, dunque ora può avere il suo bagno personale, e che anche il problema dei documenti scolastici ormai è risolto, ora sul registro può avere il nome da ragazza che si è scelto. Lucrezia frequenta il quinto anno, in primo e secondo era ancora Michele, ma il suo percorso con psicologi ed endocrinologi era già iniziato. Era evidente a tutti, professori e studenti, che Michele doveva diventare Lucrezia, che la natura aveva compiuto un errore e ora bisognava rimediare. Immagino che Lucrezia, sempre gentile, garbata, delicata, avrà dovuto passare prove durissime e per questo l’ammiro profondamente. Ma a scuola nessuno mai l’ha offesa, anzi i suoi compagni di Torre Maura, Torre Angela, Tor Bella Monaca l’hanno sempre protetta, le hanno voluto bene, l’hanno fatta sentire ancora più sicura nella sua trasformazione. Ricordo benissimo il giorno in cui è passata dai pantaloni alla gonna, dalle scarpe da ginnastica ai tacchi: nessuno ha detto niente, non è volata nell’aria serena della scuola nemmeno una brutta parola, un’offesa gratuita. Il problema, almeno per me, è solo che Lucrezia studia poco e i voti non sono ancora buoni: “È vero professore – mi dice – ha ragione, ma faccio fatica a concentrarmi, mi distraggo, penso ad altro…”, e io la capisco perfettamente, Lucrezia ora ha in testa altri pensieri.
Ho letto che in qualche scuola italiana ci sono state resistenze da parte dei professori di fronte a metamorfosi di questo tipo, che alcuni non hanno accettato il cambio di nome e di identità di uno studente. Qui in borgata, invece, tutto è filato liscio, è come se questi ragazzi capissero meglio quanto la vita è strana e imprevedibile, quanto tutto cambia di continuo sotto ai loro occhi. Qui lo scandalo semmai è la povertà, i libri che non si comprano perché mancano i soldi, madri e padri disoccupati, e zero occasioni di riscatto sociale. Il problema non è Michele che diventi Lucrezia, è la paura di non riuscire a sfangarla appena usciti da scuola, anni di studio professionale nel campo della moda e poi, forse, magari, un posto da commessa part time in un negozio di un centro commerciale. Mi sembra che tra questi giovani la questione dell’identità sessuale non rappresenti più un problema, ognuno è ciò che è, ognuno è una persona nel mondo, uomo, donna, trans, quello che si sente di essere: sul tema sono stati scritti centinaia di saggi, psicologi, sessuologi, filosofi hanno espresso le loro opinioni, ma in fondo sono chiacchiere al vento, quello che conta è che Lucrezia sia qui con noi, con il suo carico di sofferenze e la sua speranza di felicità, come tutti. L’evidenza cancella ogni astratta teoria. L’importante, piuttosto, è dare una possibilità economica a tutti, perché non conta quello che sei, se sarai solo un morto o una morta di fame.
generazione ansiosa