si torna in classe
Il 10 gennaio tutti a scuola: il governo vuole garantire la didattica in presenza
Non ci sarà alcun rinvio dopo le feste natalizie e il ministero dell'Istruzione vuole scongiurare anche la Dad. Piuttosto si procederà con ulteriori restrizioni in altri ambiti. Ma sulle norme per il rientro in aula esecutivo e regioni sono ancora divisi
La scuola è in presenza e resterà tale. Nessuna chiusura in vista, nessun rinvio rispetto al rientro tra i banchi fissato al 10 gennaio dopo le feste natalizie. Il governo decide di tenere dritta la barra e non intende fare passi indietro neanche di fronte alla nuova minaccia rappresentata da Omicron e dalla sua alta trasmissibilità. Non troveranno spazio le proposte come quella del presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, che auspicava un rinvio di 20-30 giorni per la ripresa delle attività didattiche “con l’obiettivo di aprire le scuole in presenza quanto prima e per sempre, raffreddando il picco di contagio che avrà a gennaio probabilmente un’altra spinta”. Quello della scuola è uno dei temi che verranno trattati nel Consiglio dei ministri di mercoledì ma sul punto sembra ormai certo che non ci saranno deroghe. Anzi, l’obiettivo rimane sempre lo stesso: garantire la continuità della didattica in presenza procedendo piuttosto a ulteriori restrizioni in altri ambiti. Solo per motivate ragioni molto circostanziate si potranno chiudere le scuole a livello territoriale, come nel caso ad esempio di particolari focolai. Ma non ci saranno chiusure generalizzate a livello nazionale.
Questo quanto trapela dalle parti del ministero dell’Istruzione dopo un’intera giornata caratterizzata dallo scontro tra le regioni e pezzi della maggioranza. Le regioni infatti hanno proposto di allentare le norme vigenti che prevedono per gli alunni tra 6 e 12 anni la didattica a distanza per tutta la classe con due casi positivi e per gli studenti con più di 12 anni quando vengono trovati almeno tre positivi in classe. La loro proposta per gli studenti a partire dalle scuole elementari è la seguente: nel caso di due studenti positivi, verrebbe attivata un’autosorveglianza di cinque giorni per gli alunni vaccinati e la quarantena di 10 giorni con il ricorso alla didattica a distanza per i non vaccinati, con un test obbligatorio al termine del periodo. Quanto invece ad asili e scuole dell’infanzia, tutto resterebbe invariato e si ricorrerebbe alla didattica a distanza e quarantena nel caso di un alunno positivo in classe. “Si tratta di proposte tecniche che vogliamo approfondire e condividere con l’esecutivo con il duplice obiettivo di proteggere gli ospedali gravati sempre più da ricoveri dovuti a Sars-CoV-2 e permettere una ripresa dell’anno scolastico in presenza, considerando l’andamento della curva epidemica che appare trainato proprio da una progressione importante nella fascia che va dai 6 ai 13 anni”, hanno commentato il presidente della Conferenza delle regioni, Massimiliano Fedriga, e l’assessore dell’Emilia-Romagna Raffaele Donini, coordinatore della commissione Salute della Conferenza delle regioni.
Come dicevamo, la proposta non ha mancato di suscitare polemiche. A cominciare dai due sottosegretari all’Istruzione, il leghista Rossano Sasso e la Cinque stelle Barbara Floridia, per i quali si rischierebbe in questo modo di discriminare milioni di studenti mandandoli a casa per decreto. Sul punto da registrare anche l’ostruzione del presidente della regione Veneto, Luca Zaia, per il quale mandare “in Dad i bambini non vaccinati, quando non c’è un obbligo vaccinale, sarebbe discriminatorio” e inoltre si correrebbe così il rischio di “aprire un altro fronte di scontro sociale”. Va anche detto che la proposta, quantomeno per la fascia 5-11 anni, rischierebbe di essere inutile almeno in questo momento. Gli studenti di questa fascia d’età sono infatti poco più di 3,6 milioni. Ma per loro la campagna vaccinale è iniziata da meno di un mese e, a oggi, sono oltre 3,2 milioni quelli senza neanche una dose vaccinale che rischierebbero in ogni caso di dover restare a casa in caso di contagi in classe. La soluzione proposta dalle regioni si trasformerebbe in un buco nell’acqua in questa fase della campagna vaccinale. Diverso invece il discorso per gli studenti di 12-19 anni. Qui, su circa 4,6 milioni di ragazzi sono poco più di 800 mila quelli rimasti ancora senza neanche una dose di vaccino.
Sullo sfondo resta sempre anche l’opzione dell’obbligo vaccinale, mai accantonata dallo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi. Una soluzione che incontrerebbe però non pochi ostacoli nel suo percorso parlamentare, vista l’ostilità da parte di pezzi di maggioranza come Lega e Movimento 5 stelle. Senza contare che non inciderebbe nel breve periodo, dal momento che ci vorrebbero in ogni caso mesi prima di poter registrare un’alta percentuale di vaccinati anche tra i giovanissimi. La palla passa ora a Palazzo Chigi a cui spetterà il compito di sciogliere questo ulteriore nodo entro le prossime ore, prima che riaprano i portoni delle scuole.