Carlo Verdone è il bidello che si finge teologo e professore in "Acqua e sapone", 1983 (Wikimedia Commons) 

bugie da 110 e lode

La prof. che millantava la laurea è un brutto colpo all'idolatria del pezzo di carta

Antonio Gurrado

Ventun'anni passati a insegnare senza il titolo di studio necessario. I casi sono due: o si può essere docenti bravi e in gamba addirittura senza aver frequentato l’università, o bisogna essere molto pessimisti sugli insegnanti e gli studenti che circondavano la falsaria

Scorrendo i quotidiani bisogna talvolta sforzarsi di farsi lettori medievali e di cogliere, nelle notizie, non solo il senso letterale ma anche quello allegorico; come diceva Agostino di Dacia, non solo i fatti ma anche ciò che dobbiamo credere. A esempio, la storia della professoressa di Varese che per ventun anni, stante un’indagine della Guardia di finanza, aveva insegnato senza avere mai conseguito la laurea in biologia di cui si dichiarava in possesso. Anzi, senza mai nemmeno essersi iscritta all’università. 

 

La lettera dei fatti è molto semplice. La professoressa millantatrice, se l’accusa sarà confermata, risulterà rea di uso di atto falso, in quanto ha autocertificato un livello d’istruzione non corrispondente al vero, e di truffa ai danni dello stato, in quanto ha tratto indebito vantaggio pecuniario da questa menzogna, tanto che il gip ha disposto in via preventiva il sequestro dei suoi beni. Inoltre non va sottovalutato il dettaglio che, presentandosi come laureata senza esserlo, ha causato un danno economico e morale a tutti i singoli insegnanti che giuridicamente avrebbero avuto titolo di ottenere le cattedre che lei ha occupato per oltre due decenni. 

 

Fin qui le gesta, ciò che dobbiamo sapere. Un po’ più intricato il quid credas, ciò che dobbiamo credere, almeno riguardo al sistema di selezione del personale nella scuola italiana. Sui giornali si legge che unanimemente i suoi colleghi la ritenessero docente brava e in gamba, capace di insegnare la materia per cui era incaricata. Questo può significare due cose. O che è possibile essere docenti bravi e in gamba, capaci di insegnare una determinata materia, indipendentemente dall’aver conseguito la laurea, anzi, nel caso specifico, addirittura indipendentemente dall’aver frequentato l’università. Ciò inferirebbe un colpo mortale non solo al valore legale della laurea, del quale in Italia si evita accuratamente di discutere dai tempi in cui Luigi Einaudi lo criticava, ma anche alla pretesa stessa dell’università di garantire un percorso esclusivo a chi voglia essere in grado di trasmettere conoscenza. 

 

Del resto non sorprenderebbe. In Italia la venerazione superstiziosa del pezzo di carta è proliferata fino all’eccesso non solo di volerne garantire il conseguimento a chiunque fosse appena alfabetizzato, sotto la malintesa dicitura di diritto allo studio, ma anche di esigerne un inverosimile accumulo per chi volesse intraprendere una carriera nella didattica: crediti formativi specifici, surreali corsi online, la mastodontica Ssis, il moloch del Tfa, il misterioso Fit, una valanga di scartoffie il cui scopo è comprovare che il docente dispone dei requisiti teorici per svolgere il proprio lavoro, che sa nuotare prima di tuffarsi. Questa vertigine certificatoria sta crollando su sé stessa, come dimostra lo strumento della messa a disposizione (l’acronimo Mad fa molto ridere gli anglofoni), che consente a presidi disperati di pescare supplenti privi dei requisiti legali pur di far svolgere regolarmente l’anno scolastico: mirabile cortocircuito fra pretese teoriche e bisogni concreti.

 

Oppure, e questo è il secondo significato allegorico che possiamo trarre da questa notizia esemplare, i colleghi, i presidi, gli alunni e i genitori che per ventun anni hanno avuto a che fare con la professoressa millantatrice non sono stati in grado di accorgersi che non fosse laureata, tanto che è stata scoperta a seguito di un controllo a campione puramente casuale. Con un po’ di fortuna, insomma, avrebbe continuato a passare inosservata per chissà quanto. Vuol dire che il livello dell’istruzione italiana è tale che non si riesce a distinguere un docente laureato da uno che non ha mai messo piede all’università; che a studenti e insegnanti manca il discernimento minimo per individuare la competenza necessaria, oppure che per sopravvivere nella scuola basta mimetizzarsi e tirare a campare; e che forse, come diceva Mussolini del governare, in Italia anche insegnare non è difficile. E’ solo inutile.

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