cattivi scienziati
La buona scuola che serve contro l'ignoranza di cui si nutre il virus
La totale mancanza di comprensione di fatti pur elementari ha reso i cittadini incapaci di capire cosa stesse succedendo, generando ansia, rabbia e frustrazione. Occorre recuperare il pensiero critico: ecco come
Nei giorni scorsi, ho provato a trattare separatamente vari aspetti del cosiddetto “ritorno alla normalità”, da molti auspicato senza il necessario approfondimento, quasi come una sorta di auspicio scaramantico. Abbiamo visto come, da un punto di vista sanitario, vaccini, nuovi antivirali, diffusa immunità naturale ci accompagneranno all’uscita della pandemia da Sars-CoV-2; ma abbiamo anche notato come, se vogliamo evitare gli stessi problemi con nuove, imprevedibili varianti o con nuovi, prevedibilissimi patogeni, serva un monitoraggio epidemiologico costante e migliore dell’attuale.
Poi abbiamo visto come serva rinnovare e aumentare gli sforzi nella sanità pubblica, riflettendo su una diversa organizzazione della sanità decentralizzata e territoriale. E poi come serva cominciare a pensare a ricerca, produzione e logistica di vaccini in ogni paese, per rispondere meglio alle future ondate pandemiche, dell’attuale o di altri virus. Abbiamo anche accennato a interventi strutturali, per rendere gli ambienti al chiuso meno adatti alla diffusione di patogeni respiratori – un riadattamento degli spazi mediante, per esempio, migliori sistemi di areazione e filtraggio, che potrebbero essere incentivati proprio come gli adeguamenti energetici o altre migliorie, e che potrebbero contribuire molto, come già avvenne in passato quando si affrontarono altri patogeni cambiando persino l’architettura delle città.
Insieme ai lettori, ho anche discusso del fatto che sia necessario rivedere alcuni nostri comportamenti su larga scala, che hanno creato le condizioni per questo e per futuri disastri, sia di tipo epidemico sia di altra natura, i quali, contrariamente a ciò che abbiamo finora considerato “normale”, non saranno fuori dalla nostra vista ma, esattamente come Sars-CoV-2, ci toccheranno da vicino, se non la smettiamo di far finta di nulla.
Infine, ieri abbiamo considerato come per ritorno alla normalità si intende in realtà il ritorno alla socialità, non vi sono obiezioni che tengano: tutte le forme di socialità, anche quelle apparentemente più futili o più disprezzate, sono indispensabili, sia perché concorrono al benessere individuale e a quello di gruppo, sia perché, nel loro insieme, sono inseparabili dalla produzione di arte e cultura. A meno di certi piccoli riaggiustamenti culturali dei nostri comportamenti, come ad esempio avviene in Giappone per l’uso di mascherine quando necessario e con la limitazione della diffusione di esalazioni in pubblico tramite starnuti, la nostra vita sociale è prossima a riprendere come e meglio di prima.
Vi è un punto ulteriore che vorrei considerare oggi: il ripristino della scuola. Non intendo qui discutere del danno scolastico causato dal virus, né intendo addentrarmi nella discussione sui danni psicologici per gli studenti, carenze formative eventualmente connesse alla dad o altro; intendo invece esaminare il ruolo che una buona preparazione scolastica avrebbe potuto, e potrebbe in futuro avere, nel mitigare i danni del nostro futuro incontro con altri patogeni. Una buona scuola implica una buona preparazione a usare il pensiero critico, cioè razionale, di fronte a un problema, ivi incluso l’arrivo di un patogeno. La totale mancanza di comprensione di fatti pur elementari ha reso i cittadini incapaci di capire cosa stesse succedendo, generando ansia, rabbia e frustrazione; ha contribuito a rimpinguare le falangi dei No vax; ha reso possibile errori madornali di gestione da parte della classe dirigente, emersi a più riprese; ma, soprattutto, ha lasciato la maggioranza dei cittadini al buio, in balia della numerologia epidemica, con l’ovvia conseguenza di favorire reazioni istintive, disperazione, incapacità a far la cosa giusta.
Vedere non solo i cittadini comuni, ma anche la nostra classe dirigente faticare con frazioni, elementari errori di campionamento, nozioni basilari di teoria dell’evoluzione e così via significa una sola cosa: come comunità, non siamo pronti alle sfide complesse che ci attendono, ivi incluse le inevitabili nuove crisi sanitarie dovute al nostro semplice numero e alla nostra interconnessione, che insieme costituiscono un vero paradiso per i parassiti.
Però, una migliore scuola non nasce con uno sforzo di volontà, ma dagli investimenti in strutture degne, anche da un punto di vista sanitario; nasce dalla sburocratizzazione, nasce dal miglioramento delle condizioni lavorative di insegnanti e studenti, ha bisogno dell’arruolamento di nuove leve e poi – anche – abbisogna di riconsiderare i difetti di un tipo di insegnamento ancora figlio di Gentile e del neoidealismo italiano, dimenticando l’insegnamento unitario di un metodo – uno solo – che serve sempre e comunque. Perché il virus non si propaga solo grazie ai suoi geni, ma anche grazie ai cattivi memi dell’ignoranza, contro cui esiste un solo vaccino: una buona scuola.