Esame sotto esame
Paura della scrittura, non c'è solo il motivo pandemico. Parlano Serianni e Lorenzoni
Gli studenti chiedono che la maturità non torni alla seconda prova. Segno dei tempi? Intanto in piazza lo slogan è "gli immaturi siete voi"
L’esame di maturità torna più simile a quello che era prima della pandemia, con orali e scritti, ma gli studenti dicono no proprio al ritorno della seconda prova su foglio, al grido di “gli immaturi siete voi”, sfilando in corteo per le vie di Roma. “Non è possibile questa modalità dopo due anni di pandemia. Il governo non sta investendo su di noi e sulla scuola”, hanno detto ieri, chiedendo un passo indietro sul ripristino della seconda prova. Ma davvero questa “paura della scrittura” dipende soltanto dal retaggio pandemico? Non c’è forse anche una componente pregressa, un tributo allo spirito del tempo (questo tempo) in cui si scrive tanto, ma soprattutto nel formato breve da social network? “Direi che la paura della prova d’esame rivela anche un cambiamento di abitudini e attitudini rispetto alla capacità di scrittura”, dice Luca Serianni, linguista e filologo, già socio dell’Accademia della Crusca e dei Lincei e qualche anno fa alla guida della commissione che ha preparato il “Documento di orientamento per la redazione della prova d’italiano nell’Esame di Stato conclusivo del primo ciclo” all’inizio del 2018, quando ministro dell’Istruzione era Valeria Fedeli.
“Questa sorta di regressione nell’uso della parola scritta è stata notata recentemente, in altro ambito, anche da Pietro Curzio, Primo presidente della Corte di Cassazione – una lamentela non consueta”, dice Serianni. Il linguista vorrebbe fosse mantenuta, per l’esame di maturità, la caratteristica anche simbolica di “esame che dovrebbe segnare il passaggio dalla fine dell’adolescenza all’inizio dell’età adulta”, tantopiù che “anche riuscendo ad aggirare il carico di ansia legato alla maturità, non si riuscirà poi a evitare gli esami della vita. Comunque stavolta non c’è da avere paura: la seconda prova è scelta dagli insegnanti della classe”. “Ci sono tante componenti sotto la paura della prova scritta”, dice Franco Lorenzoni, per quarant’anni maestro elementare, anche scrittore, giornalista e fondatore della Casa-laboratorio di Cenci, centro di sperimentazione educativa.
Lorenzoni ha visto crescere in aula la generazione dei ragazzi che ora scendono in piazza per chiedere di sostenere l’esame nella forma “adattata al Covid” degli ultimi due anni: “Non è da sottovalutare il dato della sofferenza adolescenziale, in questi anni ancora più acuta”, dice Lorenzoni. “I ragazzi si sentono poco ascoltati. E rispetto alla scrittura c’è un grosso nodo, perché la scuola ci lavora poco, e sempre meno man mano che si passa dalle elementari alle medie alle superiori. Mi viene in mente Tullio De Mauro quando diceva che la scrittura dovrebbe essere invece un basso di fondo che accompagna l’intero corso di studi”. Ed è come se gli studenti, oggi, dice Lorenzoni, “vivessero la prova scritta come un tribunale, momento di giudizio invece che di espressione. Forse anche perché non c’è molta curiosità nel leggerli?”.
Eppure si scrive in continuazione, ma in modo sincopato, via cellulare: “Sarebbe bello che la scuola si sforzasse di intercettare questa modalità di scrittura anche povera, anche compulsiva: forse se fosse più curiosa i ragazzi si sentirebbero meno giudicati. Ecco, non pensiamo sempre il peggio: il fatto che si richieda agli studenti di portare una tesina può essere un passaggio interessante. Si tratta di lavorare sulle fonti, di elaborare, e questo può avvicinare alla scrittura molto più delle due ore da trascorrere davanti a una traccia piovuta dall’alto — da cui la sensazione di essere ‘in tribunale’”.