La pandemia non è una valida scusa per cedere al semianalfabetismo
Viva la scuola del ’900, quando il QI cresceva sempre. La scrittura è un antidoto al veleno digitale
Sono contrario all’esame di stato (e alla scuola di stato tutta) ma essendo la mia contrarietà irrilevante, e non potrebbe essere altrimenti visto che nemmeno la più argomentata opposizione di Luigi Einaudi mosse qualcosa, che almeno sia scritto. Perché la scrittura matura, chiaro. La protesta degli studenti racconta un’urgenza ormonale, non ci fosse stato il ritorno delle prove scritte all’esame di maturità ci sarebbe stato qualcos’altro. E, parafrasando Pascal, l’ormone ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Se poi occupano il liceo D’Azeglio, a Torino, secondo me hanno pure l’oltretombale approvazione di Cesare Pavese, Gianni Agnelli e Giancarlo Pajetta, prestigiosi ex allievi del prestigioso istituto (Pajetta di occupazioni era un esperto, occupò perfino la prefettura di Milano e anche quella volta le motivazioni erano abbastanza pretestuose). Se i ragazzi si divertono beati loro, li benedico anch’io, l’importante è non benedire la sciatteria, l’idea che la pandemia sia una valida scusa per cedere al semianalfabetismo dilagante.
Meglio lo scritto dell’orale perché fra gli studenti italiani d’oggi non credo esista un Socrate, capace di giganteggiare nella storia della filosofia senza aver mai preso la penna in mano. Se invece per troppo realismo e pessimismo mi sbaglio, se un nuovo Socrate esiste avrà senza dubbio, in seguito, altri modi per emergere e guadagnarsi la sua brava cicuta. Per tutti gli altri che Socrate non sono la scrittura è un antidoto al veleno digitale. Una piccolissima dose, visto che se non sbaglio stiamo parlando di pochi fogli e una biro, non di interi codici miniati e penne d’oca, eppure meglio di niente. “Il digitale ora si sta mangiando fette del mondo fisico” dice il neuroscienziato Vittorio Gallese. Felice la scelta del verbo: mangiare. Sinonimo di divorare, sbranare, consumare… Gli schermini a cui stiamo incollati tutto il non più santo giorno sono i principali indiziati del calo del QI registrato guarda caso nei paesi tecnologicamente avanzati, guarda caso dal 2000 in avanti, prima dal francese Christophe Clavé e poi dal tedesco Manfred Spizter, neuropsichiatra anch’egli e autore di Demenza digitale. Si pensa che il rimbecillimento collettivo derivi, almeno in parte, dall’impoverimento lessicale e dalla semplificazione appunto della scrittura: “La scomparsa delle lettere maiuscole e della punteggiatura sono colpi fatali”.
Digitare un brevissimo messaggio su WhatsApp e vergare un ragionamento su carta sono, ai fini dell’intelligenza, azioni molto diverse. Lo vedo con le mail, decadute perché percepite come troppo impegnative, troppo formali, troppo lunghe. Tante persone anche attempate preferiscono messaggiare, le mail vanno oltre le loro attuali capacità cognitive: serve un oggetto, una chiusa, una firma… Non sono più capaci di scriverle e cominciano a non essere più capaci di leggerle, l’ho sperimentato varie volte. Viva le prove scritte, dunque, viva la scuola pre-digitale ossia la scuola del Novecento: il secolo in cui il Quoziente d’intelligenza cresceva sempre.