diario di scuola
In classe conta solo il voto, altro che spirito critico ed educazione alla bellezza
Un'ossessione, quella del numeretto in pagella, non solo per i ragazzi. I professori sono costretti a nascordersi dietro questo continuo soppesare con il bilancino per evitare il pericolo più grande: che arrivino gli avvocati e scatti il ricorso
Mi sembra di vedere in te un maggiore interesse per la poesia, l’arte, la storia, come se ti fossi aperto alla curiosità e avessi trovato qualche risposta anche nei testi che leggiamo in classe: intendo risposte che riguardano la nostra vita, la tua…”. E Daniele, occhi svegli, ascolta e poi dice: “Va bene, ma quanto mi mette in pagella, sei o sette?”. E io insisto: “Conta che tu abbia dimostrato un interesse nuovo, che abbia aperto una finestra in più…”. E Daniele: “Il voto, professore, conta solo il voto”. Ha ragione, contano i voti, il resto sembra solo aria fritta.
Siamo nella settimana degli scrutini del primo quadrimestre e bisogna fissare sul registro voti certi, indiscutibili. Non importa quanto del pensiero e della voce di Petrarca o di Leopardi è penetrato nell’anima dello studente, importa solo il numeretto che appare nella casella. “Quantifichi professore, quantifichi”, mi diceva un preside anni fa, “non perdiamoci in chiacchiere inutili”. E io quantifico, ma con l’impressione di chiudere in una arida cifra un percorso che riguarda la bellezza, la sensibilità, il pensiero, e un po’ mi dispiace che alla fine tutto si risolva in una valutazione matematica. Resto sempre sbalordito quando qualche professore arriva agli scrutini con la media precisissima di tutte le interrogazioni e i compiti scritti: “In Scienze Rossetti ha 4,735”, dice il prof., forte delle prove che ha “somministrato”, come si dice oggi, e valutato.
Guai se tutto non è soppesato sulla precisa bilancina delle verifiche scritte e orali, perché una nuvola nera grava sempre sugli scrutini, una nuvola che potrebbe scatenare tuoni e lampi sul povero insegnante. E’ la nuvola nera del ricorso, parola che atterrisce e toglie il sonno. Ricordo che una volta parlai con una professoressa di Latino e Greco di uno dei miei figli, che faticava un po’ nelle sue materie, e garbatamente le proposi di farlo recuperare con un paio di interrogazioni personalizzate sui punti del programma che ancora non aveva digerito e metabolizzato. La prof. sgranò gli occhi, esterefatta: “Non posso, assolutamente non posso trattare suo figlio diversamente da tutti gli altri… Non sa che questa scuola è piena di figli di avvocati pronti a fare ricorso per qualsiasi cosa?”.
Ecco la paura assoluta, la minaccia che fa tremare i polsi: che scatti il ricorso. Come esistono studi legali specializzati in diritto tributario o in divorzi, così ormai ci sono studi che campano sui ricorsi scolastici. Un ragazzo è giudicato negativamente dai prof., e i genitori, spalleggiati dagli avvocati, chiedono l’accesso agli atti: cioè pretendono di spulciare i registri personali, di analizzare le prove scritte, di verificare se le interrogazioni si sono svolte rispettando esattamente le modalità previste, se le griglie di valutazione sono accluse a ogni compito assegnato. Un incubo, un tritacarne micidiale. Di tutto ciò risponde anche il dirigente scolastico, che dunque esige dagli insegnanti la massima precisione nei voti.
La mia idea di scuola forse è troppo antica, risente di un certo idealismo ammuffito, credo ancora che la scuola debba formare le personalità, educare a un pensiero critico, ma anche a un pensiero innamorato della bellezza e della complessità del mondo. Credo che l’incontro tra un maestro e un allievo possa generare la scintilla che accende tutta la vita. Per me, da ragazzo, fu così. I voti sono conseguenze, ciò che è veramente importante è leggere capolavori, sentire interiormente le parole dei poeti, farle diventare preziose per comprendere se stessi. Oggi non funziona più così, bisogna valutare le competenze, le abilità, verificare se lo studente ha capito la differenza tra una sineddoche e una metonimia, se ha individuato il deuteragonista nella struttura del racconto… E non sbagliare i voti. Non solo quelli che definiscono una promozione o una bocciatura, ma anche le sottili differenze tra un sette e mezzo e un otto. Perché alla fine non è la vita che conta, ma il curriculum, che permetterà a ogni ragazzo di presentarsi agguerrito nella competizione feroce del mondo del lavoro. Il professor Fiorito nel film “Il rosso e il blu”, tratto da un mio libro, più o meno diceva così, sorridendo: “Non sanno niente, non gli interessa niente di quello che spiego, ma io alla fine li frego, metto la sufficienza a tutti”.