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Diario di scuola

La Cina è un mondo a parte anche in una classe di stranieri ben integrati

Marco Lodoli

I giovani cinesi sono quasi sempre molto bravi nelle materie scientifiche e professionali, sono applicati, diligenti: sono studenti modello ma faticano a legare con gli altri

Inclusione, accoglienza, integrazione sono le parole belle della scuola italiana: ogni ragazzo e ogni ragazza, da qualsiasi parte del mondo arrivino, si amalgamano facilmente nelle classi. In tanti anni di insegnamento non ho mai visto alcun atteggiamento divisivo, mai nessuna antipatica separazione tra i miei studenti. Certo, ora sono a distanza di sicurezza, un metro e passa tra banco e banco, ma poi a ricreazione le distanze tendono ad annullarsi: moldavi, egiziani, peruviani, indiani stanno tutti insieme, affettuosamente mescolati ai ragazzi di Torre Maura e di Tor Bella Monaca, scherzano, ridono, si preoccupano delle prossime interrogazioni, si passano gli appunti, collaborano in amicizia. In questo senso la scuola è molto più avanti della società, per i ragazzi le differenze iniziali vengono subito cancellate dalle somiglianze presenti.

 

Lo stesso vale anche per gli studenti che hanno qualche disabilità: subito vengono accolti nel gruppo classe, protetti, aiutati in mille modi. Insomma, se è vero che i nostri studenti hanno qualche problema sotto l’aspetto dell’apprendimento, perché studiano pochino e faticano a scrivere e a esprimersi con disinvoltura, è altrettanto vero che sono meravigliosamente generosi gli uni con gli altri, si accettano e si vogliono bene per quello che sono, senza stare a controllare il passaporto. Tra l’altro ormai la maggior parte degli studenti “stranieri” sono nati qui, hanno fatto tutte le scuole qui, sono a tutti gli effetti ragazzi italiani. Magari fa un po’ strano dover interrogare su Guittone d’Arezzo o sulla prima guerra di indipendenza una studentessa che arriva dal Bangladesh, ma alla fine tutto fila abbastanza liscio. 

 

Però c’è un’eccezione, questa almeno è la mia esperienza dopo tanti anni di insegnamento. Tutti si inseriscono serenamente, tutti, tranne i cinesi. Spesso sono studentesse e studenti molto bravi nelle materie scientifiche e professionali, sono applicati, diligenti, direi che forse hanno una marcia in più rispetto agli altri. Non perdono mai tempo, non mancano quasi mai alle lezioni, sono rispettosi, educatissimi, concentrati. Nessuno crea mai problemi disciplinari, nessuno risponde mai malamente, sono studenti modello. Però non legano con gli altri. Sono un mondo a parte, che non si mescola e non si confonde con il resto della classe. Stanno sempre tra di loro, o con gli studenti cinesi delle altre classi: quasi non si sentono e non si vedono, isolati nella loro differenza. Io cerco di coinvolgerli il più possibile, chiedo loro come passano il tempo libero, cosa fanno durante il fine settimana, ma ottengo solo risposte evasive, sorrisi distanti. 

 

Non sono proprio tutti così, qualcuno si lascia un po’ andare: ad esempio una ragazza cinese mi spiegò cosa aveva offeso i suoi connazionali nella celebre pubblicità di Dolce e Gabbana. La modella aveva usato le bacchette per il cibo in un modo troppo maldestro, le aveva divise, tenendole una per mano, cosa che non va mai fatta, perché le bacchette devono stare sempre insieme, come cielo e terra, guai a separarle. Ero contento, perché finalmente avevo avuto una spiegazione, quasi una confidenza. Ma sono casi rari, rarissimi. E allora spesso mi domando cos’è che impedisce loro di unirsi agli altri, di aprirsi fiduciosamente. È una riservatezza atavica, un riserbo inespugnabile? È uno strano senso di superiorità rispetto agli altri ragazzi, così caciaroni e disordinati? È una carenza affettiva, una rigida dedizione allo studio che non prevede alcun cedimento sentimentale? Non ho risposte, non capisco. 

 

La Cina è vicina, era il titolo di uno dei primi film di Marco Bellocchio, ma a scuola la Cina è lontana, un mondo a parte che ha pochissima voglia di intrecciarsi con gli altri. Fanno anche parecchia fatica a imparare decentemente l’italiano: rumeni, marocchini, equadoregni in un anno parlano perfettamente la nostra lingua, i cinesi invece no, quasi non sentissero l’esigenza di avere una lingua in comune con gli altri. La scuola attiva sempre corsi di recupero per l’italiano, ma con scarsi risultati. Insomma, la Cina conferma anche a scuola il suo mistero, protegge la sua enigmaticità. C’è il mondo, che tende a confrontarsi e a unirsi, e c’è la Cina, un pianeta lontano, che segue la sua perfetta traiettoria e quasi mai incrocia il nostro confuso cammino.  
 

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