Diario di scuola
Scoprire dalle ex studentesse che i semi hanno attecchito ridà senso al lavoro di un prof.
Visite inaspettate a scuola, pensi sia una rogna, genitori arrabbiati per un voto, rappresentanti delle case editrici... E invece sono due ex allieve. Il racconto della loro giovane vita, delle aspirazioni, e la gratitudine per quanto imparato sono una luce che di colpo illumina tante ore buie e sconfortate
Le piccole e immense gioie della scuola: qualcuno bussa alla porta della classe, “Avanti”, ed è Antonietta, la collaboratrice scolastica: “Ci sono due persone che vorrebbero parlare con lei”, mi dice, e io già penso che sarà qualche rogna, genitori che protestano per un voto, rappresentanti che insistono per l’adozione di un libro, comunque niente di buono. Lascio la classe a un professore di sostegno e mi avvio pensieroso per il corridoio, sempre infastidito da cronici sensi di colpa. Ed ecco le due persone che mi aspettano, due giovani donne con la mascherina regolarmente calcata sul viso. Mi sorridono con gli occhi, con le mani che si muovono festose nell’aria: “Professore, si ricorda di noi?”. E io vorrei dire subito sì, certamente, quinta A 2013, tu al terzo banco, fila centrale, tu al secondo, fila di sinistra, vorrei chiamarle per nome, e invece per il momento non le riconosco. Sono loro a togliermi dall’impaccio, a ricordarmi il loro nome e cognome, e per un momento si abbassano le mascherine e adesso sì che le ricordo, che le riconosco. Erano due ragazzine e ora hanno ventisette anni, il tempo è passato, è volato.
Sono tornate a scuola per un saluto e anche perché vogliono chiedere all’insegnante di materiali tessili alcune informazioni. Già, perché ormai sono entrate con energia e ottimismo nel mondo del lavoro, mi raccontano che la sera mandano avanti una pizzeria in un circolo sportivo a viale di Tor di Quinto e con i soldi che riescono a guadagnare stanno mettendo in piedi la loro piccola azienda di moda, borsette, cinte, accessori vari e poi forse anche abiti fatti con materiali ecosostenibili. Sprizzano vitalità, parlano veloci, sono piene di voglia di vivere e di fare. Il Covid le ha rallentate, ma non le ha fermate, raccontano che lavorano tanto nel laboratorio che hanno affittato, che hanno speranze, prospettive, progetti.
E poi pronunciano quasi all’unisono la frase che apre il cuore, che dà senso a tutto il lavoro di un professore: “Abbiamo imparato tante cose utili, qui a scuola, gli insegnanti delle materie professionali ci hanno preparato bene, e anche lei, prof., ci ha aperto i pensieri con le sue lezioni di letteratura…”. Che meraviglia, che gioia infinita! Quante volte ho temuto di parlare al nulla, di riempire l’aria della classe di chiacchiere inutili, dissolte nella distrazione generale, di essere stato incapace di comunicare qualcosa di buono, e ora invece mi sento quasi importante, come succede raramente o quasi mai nella vita. Da qualche parte i semi sono caduti, incredibilmente hanno trovato un mucchietto di terra fertile, hanno generato foglie e frutti. Negli occhi delle due ex studentesse brilla la luce della riconoscenza, una luce che di colpo illumina tante ore buie e sconfortate.
E in un attimo capisco che non bisogna mai avvilirsi, che non bisogna aspettarsi risultati immediati, che le parole si posano e magari dopo anni producono qualcosa di buono. Troppo spesso noi insegnanti abbiamo l’impressione di trovarci davanti venti ragazzi totalmente indifferenti, e dentro ci cresce lo scoraggiamento, credevamo di aver fatto una bella lezione, la avevamo preparata con cura, e nessuno l’ha apprezzata. E allora ci sentiamo delusi, inutili, addirittura inadatti. Ma non è così, l’affetto di queste due ragazze, la loro gratitudine alla fine non è un’eccezione, in fondo mi è già capitato altre volte di incontrare per la strada o in un centro commerciale un antico allievo e di ascoltare la giovane storia della sua vita, che ha preso una forma e una direzione, e di accogliere con emozione qualche meravigliosa parola sugli anni che ha passato a scuola, su tutto quello che ha imparato.
“Professore, ci venga a trovare in pizzeria, la sera siamo sempre lì, porti anche i suoi figli e sua moglie, la professoressa Molle, ce la ricordiamo bene, anche lei ci ha dato tanto…”. E io dico di sì, prometto, giuro, anche se so che probabilmente non ci andrò mai, che il mio compito e la mia presenza nella loro vita sono finiti il giorno degli ultimi esami, che il tempo unisce e poi inesorabilmente divide. Però sono stato così contento di rivederle, mi hanno fatto davvero un grande regalo, hanno dato un senso a migliaia di ore che sembrava non ne avessero alcuno. Nulla si perde nel vento, o forse sì, ma poi quel vento di parole spesso sospinge le barche nel grande mare della vita, e le barche lo sanno, e alla fine lo sa anche il vento.