diario di scuola
Quando la cultura non riesce a vincere l'apatia degli studenti. "So' cose da vecchi"
Lo stereotipo di Robin Williams ne "L'attimo fuggente" è quello con cui ogni prof. in una scuola di frontiera cerca di rompere il muro dei ragazzi. E a dispetto dei film americani, spesso non riesce. Allora ci si sente una barchetta contro un incrociatore
Nelle fiction televisive, come nei grandi film americani ed europei, il modo in cui la scuola viene raccontata è più o meno sempre lo stesso, tanto da essere diventato quasi un cliché: di solito c’è un insegnante giovane e una classe dove ci sono studenti inquieti, apatici o ribelli, completamente indifferenti ai soliti programmi scolastici. Di solito dopo un po’ il giovane professore scopre, grazie alla sua infinita sensibilità, che quei ragazzi hanno gravi problemi alle spalle, una famiglia sfasciata, una madre pazza, un padre alcolizzato, un fratello perso in qualche comunità, e vivono in quartieri tremendi, dove regna la violenza e dove c’è poco o nulla di buono a cui aggrapparsi. E allora il giovane prof, che fatica ad adeguarsi a un insegnamento tradizionale e impersonale, prende l’iniziativa, spariglia le carte in tavola, mette in gioco tutta la sua creatività. Inventa nuove maniere per comunicare, si avvicina umanamente a quei ragazzi, li cerca fuori da scuola, ci parla, li ascolta, ne diventa amico e complice in un percorso di resurrezione. Quegli studenti sbandati, demotivati, si illuminano di nuova coscienza e riprendono vita, trovano nel giovane prof il punto di riferimento che a loro è sempre mancato, il faro da seguire nel mare tempestoso della loro esistenza.
Naturalmente – questo è un passaggio che non manca mai in questa narrazione un po’ stereotipata – per arrivare a conquistare i suoi complicati studenti il prof entra spesso in contrasto con altri insegnanti, con la rigida struttura scolastica, fino a rischiare di essere allontanato. Ma lui non molla, sente che sta dalla parte giusta, rinnova l’impegno, propone ai ragazzi altri testi, altre soluzioni didattiche, e tutto di solito finisce in gloria: i ragazzi difficili sono recuperati allo studio, e il prof saluta tutti l’ultimo giorno di scuola con un sorriso felice e malinconico, perché ha salvato tante giovani vite, senza che la scuola l’abbia mai veramente capito.
Ecco: lo schema grosso modo è questo, ogni volta con qualche variante, ma stabile nella sua impostazione di base. Ed è lo schema che seguo anch’io, da tanti anni insegnante in una scuola di frontiera. Cerco di entrare con delicatezza nei problemi dei ragazzi, di capire cos’è che non va nei loro giorni, e di proporre lezioni un po’ diverse, magari mostrando un film o un quadro, facendo ascoltare una canzone che ha un testo particolare, allargando quanto possibile il discorso per non impantanarmi in uno stagno inerte, dove nessuno ascolta più nessuno.
Qualche volta funziona, e allora mi sento come Robin Williams ne “L’attimo fuggente”, sento di aver dato una spallata all’indifferenza generale e di aver socchiuso o spalancato nuove porte. Ma a volte, invece, tutto questo non basta, il film della scuola non si chiude con un happy end struggente. Purtroppo capita abbastanza spesso che il muro dell’indifferenza rimanga in piedi e nulla riesca a scalfirlo. Il contesto sociale, economico, culturale in cui tanti ragazzi sono tragicamente immersi si rivela più forte di ogni speranzosa creatività pedagogica.
L’altro giorno cercavo di interessare un gruppo di ragazzi abbandonati agli ultimi banchi, di coinvolgerli in tutti i modi, ma sono stato bruciato dal commento di una sedicenne: “A professò, è inutile che insisti, ’ste cose non interessano nessuno, la cultura è ’na cosa pe vecchi”. Ahi, che coltellata al cuore! Ero sicuro che prima o poi li avrei conquistati, è invece no, per niente. E allora ho provato a chiedere: “Ma cos’è che a te interessa?”. E la sedicenne, apparentemente sicura di sé, mi ha risposto che a lei interessano gli amici della piazzetta, i vestiti, i soldi, la libertà di divertirsi e fare quello che vuole. Mi sono sentito una barchetta contro un incrociatore, ho percepito la debolezza della poesia, della bellezza, della sensibilità artistica contro lo strapotere di un mondo che gira attorno a valori completamente diversi, che attirano e poi respingono con brutalità.
Tanti ragazzi delle periferie, ma anche dei quartieri alti, hanno recepito in pieno il messaggio del nostro tempo: solo i soldi contano, e una spensieratezza totale, e una vita piena zeppa delle cose offerte a getto continuo dal mercato. Il resto sono chiacchiere noiose, roba da vecchi scemi. Io non mi arrendo, continuerò a far cadere su quell’asfalto lucido i semi della poesia e della consapevolezza, ma non so se almeno un seme attecchirà o se tutto sarà vano. Insisto, ma a volte soffro.
generazione ansiosa