diario di scuola
Così le simulazioni dell'esame di maturità indeboliscono un rito d'iniziazione
Forse le intenzioni sono buone, ma resta l'impressione che queste prove, rigorosissime e fasulle, siano una complicazione inutile. Una recita a soggetto che sa più di Kafka che di efficienza
Negli ultimi anni la tendenza della scuola italiana è di complicare ciò che sembra apparentemente semplice. L’obiettivo, credo, è quello di essere più funzionali e di non lasciare nulla al caso o all’improvvisazione dei professori. Tutto deve avanzare secondo meccanismi che vorrebbero essere precisi e spesso sono soltanto bizantini: e tutto deve essere descritto e spiegato in relazioni implacabili, nero su bianco, affinché restino prove precise di quanto viene fatto. Alla fine l’impressione è di trovarsi in un clima che sa più di Kafka che di efficienza, nell’ansia perenne di non aver trascritto per bene ogni cosa, di non aver programmato a dovere, di essere comunque sempre in torto, perché qualcosa sfugge sempre e genera strani sensi di colpa.
Questa, nella mia scuola, è la settimana delle prove simulate, passaggio ritenuto ormai indispensabile nel cammino verso l’esame di stato delle classi quinte. In definitiva si tratta di fingere che l’esame sia già adesso, affinché gli studenti possano rendersi conto di come sarà a giugno l’esame vero e proprio. E’ come se, dovendo fare un viaggio a Parigi, si andasse a Parigi adesso, per anticipare eventuali sorprese e imprevisti. E tutto questo lo si fa per due volte, ora e tra un mese, di modo che tutto sia chiaro. L’esame finale sarà solo la ripetizione del teatrino odierno, però con un giudizio definitivo. Quindi oggi si affronta la prima prova, cioè il tema di italiano. Vengono preparate le tracce, stabiliti i turni di sorveglianza, timbrati e firmati i fogli protocollo da consegnare agli studenti, vengono ritirati i telefonini, controllati i documenti a ragazzi che vediamo ogni giorno, e l’esame alle otto e trenta prende il via. Dura sei ore, esattamente come quello conclusivo. Si finge un’ufficialità seriosa, una severità assoluta, un’inflessibilità senza cedimenti. Prima di tre ore non si può consegnare né andare al bagno, tutto è rigoroso e fasullo allo stesso tempo. L’unicità dell’esame, quel batticuore irripetibile vengono anticipati in questa mascherata un po’ assurda.
Alla prima prova naturalmente domani seguirà la seconda, sempre con gli stessi criteri, poi si correggeranno i compiti seguendo le griglie preparate dai vari dipartimenti, e poi ci saranno anche gli orali, tra qualche giorno. Due studenti, sorteggiati coi numeretti estratti da una scatola, faranno da cavie per tutti quanti. La finta commissione, finta ma uguale a quella di giugno, cioè i professori stessi della classe, si disporranno dietro a un lungo tavolo e interrogheranno i due malcapitati, mentre tutti gli altri studenti assisteranno alla prova orale seduti in fondo all’aula. Naturalmente a marzo i programmi non sono ancora conclusi, si interroga solo su quanto studiato fino ad adesso, e non sono pronte neppure le tesine delle materie di indirizzo, ma non importa: ciò che conta è ricreare meglio possibile il clima degli esami, una solennità fittizia, un certo spavento. Questo al primo giro, e poi uguale al secondo giro, tra un mese, con altri due studenti a rispondere alle domande.
Forse non c’è niente di male, forse le intenzioni sono buone, è un tentativo di mettere in scena ciò che avverrà all’esame di stato, eppure a me sembra una complicazione inutile. Per due settimane si ferma la preparazione, si fermano i programmi, si recita a soggetto. Così si ammorbidisce la tensione, probabilmente, ma si perde anche la potenza straordinaria della prova finale, quel fenomenale rito di iniziazione alla vita. Ricordo ancora quando sostenni i miei esami: mi sedetti davanti alla commissione che ero una ragazzino, e dopo un’ora mi sono alzato che mi sentivo quasi un uomo. Certo, fu anche sofferenza, battaglia verbale, concentrazione acuta e tagliente, fu un momento intenso e irripetibile che a volte ancora torna nei sogni più sudati, ma fu anche la dimostrazione che potevo farcela, che sapevo quello che dovevo sapere e forse anche qualcosa in più. Se avessi fatto l’esame tre volte, due per finta e una sul serio, forse non sarebbe stata la stessa cosa, cioè un vero salto di qualità intellettuale e anche esistenziale. Pazienza, oggi è così. Tutto si pianifica e si certifica, tutto somiglia a un set dove si batte il ciak a ripetizione, finché ogni emozione si spiana e dilegua.