diario di scuola
Tanti i prof. bocciati allo scritto del concorso per il ruolo. Un sonetto romano dice la sua
Una vita da precario. Alcuni sono giovani, trentenni ancora pieni di energie e belle speranze, altri sono più avanti con gli anni. Scrive Graziano Graziani nella sua Spoon River capitolina sul supplente: "Arivo e sémo in venti pe’ du’ posti: // tutta sta corza pe’ du’ carci ’n culo!"
Scornacchiati, con le orecchie basse e lo sguardo depresso, così sono tornati a scuola tanti miei colleghi dopo aver affrontato il concorso per essere ammessi in ruolo. Alcuni sono giovani, trentenni ancora pieni di energie e belle speranze, altri sono più avanti con gli anni, hanno alle spalle lunghe stagioni di sofferto precariato: e comunque quasi tutti sono stati bocciati alla prova scritta. Molte le recriminazioni: l’esame era complicatissimo, tante domande sulla legislatura scolastica, sull’informatica, sulla pedagogia, oltre a quelle sulla materia specifica di insegnamento, un diluvio di crocette da sgocciolare nelle caselle giuste. A quanto pare quasi l’80 per cento dei candidati è stato respinto, migliaia di professori che dovranno rimanere nelle sabbie mobili del precariato. Una vita sempre in bilico, vagando da una scuola all’altra di Roma e provincia, Anzio, Nettuno, Velletri, Civitavecchia, treni da prendere alle sei di mattina, corriere scalcagnate che portano lontano e ritorni a casa nel mezzo del pomeriggio. Sempre con la preoccupazione di non essere richiamati l’anno seguente, anche se si sono dimostrati ottimi professori, anche se si sono specializzati, se hanno studiato e lavorato per decenni. Non possono avere un mutuo, non possono programmare la vita futura, sposarsi, fare figli, immaginare una vita decente. Una tribù intellettuale confinata nella riserva dell’incertezza e dell’ansia perenne.
In questi giorni mi è capitato di leggere un libro di sonetti romani, Er corvaccio e li morti, scritto da Graziano Graziani, una sorta di Spoon River capitolino in cui tante persone raccontano in pochi versi la loro esistenza. “Er supplente” riassume così la sua storia: “Potemo di’ che ero professore, / ma sarebbe più giusto di’ supplente / e còr lavoro ’n giro urtimamente / riuscivo a fa in un mese ’n par de ore // Aho! Più sta che annava sempre peggio: / da ’n pizzo all’antro pe’ fa’ du’ supplenze / poi tocca da mostrà le referenze / e quer che me fregava era er punteggio! // De qua! De là! E trotti come un mulo: / pe’ lavorà te tocca che te sposti. / Arivo e sémo in venti pe’ du’ posti: // tutta sta corza pe’ du’ carci ’n culo! / E ’n giorno ch’ero stanco de combatte / er core se stufò e smise de batte”. Tristissima poesia, sonetto disperato, vita e morte di un povero supplente precario che alla fine si arrende definitivamente di fronte all’impossibilità di avere il tanto agognato “posto fisso”.
Con la riforma della Buona Scuola in realtà non esiste più la figura del supplente che viene paracadutato come un corpo estraneo oltre le linee nemiche per poche ore o pochi giorni, ora c’è l’insegnante di potenziamento, che fa parte dell’organico scolastico e copre le assenze minime dei titolari di cattedra. Solo dopo quindici giorni di assenza viene convocato un supplente, e questo rende la didattica un po’ meno rarefatta. Però è vero che tanti, troppi insegnanti passano la vita in attesa di una convocazione, lavorano qualche mese e vengono rigettati nell’inferno della disoccupazione. “Ho cambiato dieci scuole in sette anni”, mi raccontava una collega, “appena inizio ad ambientarmi vengo allontanata, piazzata altrove o rimandata a casa…”. E gli anni passano, i capelli imbiancano, la fiducia cala e aumenta il senso di spaesamento, l’apprensione per quello che sarà.
Ci sono insegnanti precari che ormai hanno cinquant’anni e ancora vagano da una scuola all’altra, e ogni settembre aspettano con il cuore in gola un nuovo incarico, che forse arriva e forse no. Vite spezzate, professionalità bruciate, destini che vengono disegnati o cancellati dal computer del ministero, che valuta unicamente i punteggi che ogni supplente accumula nel tempo, insegnando, ma anche frequentando corsi di aggiornamento, corsi di lingua inglese, qualunque cosa permetta di far crescere quel maledetto punteggio. In tantissimi speravano in questo concorso: ma la selezione è stata durissima, spietata, quiz impossibili, domande ambigue e trabocchetti fatali. “E ’n giorno ch’ero stanco de combatte / er core se stufò e smise de batte”: per fortuna non è così, tutti questi precari continuano a combattere, ma certo per loro l’amarezza è tanta, corrono sul filo del rasoio e ogni anno si sentono più fragili, più soli.