diario di scuola
Indicatori, voci diverse, punti da sommare: giudicare lo scritto della maturità è diventata una follia
Oggi il voto viene costruito attraverso una griglia precostituita che spezza il semplice giudizio in tanti microgiudizi. Un esercizio di autopsia in cui il tema dello studente, spesso piuttosto semplice, viene sezionato e sbudellato come un cadavere in ogni sua parte
Credo che un segno evidente del declino di un mondo è la progressiva incapacità di distinguere tra ciò che è sostanziale e ciò che è puramente formale. Aumenta a dismisura il fumo e non si vede più l’arrosto. Si moltiplicano le regole e si soffoca l’azione. Cercando di essere perfette, le leggi diventano un labirinto in cui anche l’uomo di buona volontà finisce per smarrirsi: entra giovane e forte, e in breve tempo invecchia tra mille bivi e mille vicoli ciechi. Pensavo a questo mentre mi sforzavo di correggere i temi di maturità, la cosiddetta prima prova.
Ogni professore con un minimo di esperienza sa giudicare il valore del tema scritto dal suo studente: legge e segue il discorso generale, il modo in cui si articola, la vivacità delle argomentazioni, l’originalità di alcune osservazioni, gli esempi tirati in ballo, una certa brillantezza espressiva, e alla fine mette un voto e scrive un breve giudizio sull’ultima pagina del foglio protocollo. E’ sempre stato così. Nella mente del bravo professore c’è una bilancia capace di pesare pregi e difetti e trasformarli in una valutazione. Ma già da parecchi anni le cose sono cambiate.
Ora il voto viene costruito attraverso una griglia precostituita che spezza il semplice giudizio in tanti microgiudizi, e poi li assembra in una somma finale. Allora: innanzi tutto esiste una prima griglia di valutazione “valida per tutte e tre le tipologie di prova”, che può raggiungere un massimo di 60 voti. Ci sono quattro “indicatori”: il primo giudica se il “testo è ben organizzato e coeso in tutte le sue parti con elementi di originalità nella pianificazione”, e raccoglie punti che vanno da 1 a 20; il secondo “l’utilizzo sicuro e preciso del lessico, l’assenza di errori-imprecisioni gravi, e il voto va da 1 a 10; il terzo stabilisce “la correttezza grammaticale (ortografica, morfologica, sintassi) e l’uso corretto della punteggiatura, voto a 1 a 10; il quarto considera “l’ampiezza e la precisione delle conoscenze e dei riferimenti culturali, l’espressione di giudizi critici e valutazioni personali, altro voto da 1 a 20.
Ognuna di queste voci ovviamente è suddivisa in sottovoci, a seconda del valore raggiunto. E questa è la prima parte del giudizio, che vale per la tipologia A, B e C del tema. Poi si passa a valutare la tipologia che lo studente ha scelto, e qui il voto può arrivare fino a 40 punti (che sommati ai 60 precedenti porta al massimo di 100). I miei studenti hanno scelto le tipologie B o C, cioè quelle che non affrontano l’analisi di un testo letterario. La tipologia B va giudicata seguendo tre indicatori: “l’individuazione corretta di tesi e argomentazioni presenti nel testo proposto”, “la capacità di sostenere con coerenza un percorso ragionativo adoperando connettivi pertinenti”, “la correttezza e congruenza dei riferimenti culturali utilizzati per sostenere l’argomentazione”. La tipologia C ha altri tre “indicatori”: “la pertinenza del testo rispetto alla traccia e la coerenza nella formulazione del titolo e dell’eventuale paragrafazione”, “lo sviluppo lineare e ordinato dell’esposizione”, “la correttezza ed articolazione delle conoscenze e dei riferimenti culturali”. Ognuno di questi indicatori ha le sue sottovalutazioni riguardo a come lo studente se l’è cavata.
Un ginepraio micidiale. Un esercizio di autopsia in cui il tema dello studente, spesso piuttosto semplice, viene sezionato e sbudellato come un cadavere in ogni sua parte. E alla fine, sommando tutti i piccoli voti, si giunge al voto finale, che come ricordate viene formulato in centesimi. A questo punto il voto viene tradotto in ventesimi, non mi chiedete perché, io non l’ho capito. Ma non è finita qui, il voto che ora è in ventesimi va tradotto in quindicesimi. Giuro, è così, non sto scherzando. Intorno al foglio protocollo del tema, i professori smanettano sulle calcolatrici elettroniche, si confondono, non si trovano d’accordo, sudano, ricominciano. Un delirio.
Si riprendono tutti i microvoti, si risommano, da cento si riportano a venti, poi a quindici, ma qualcosa ancora non torna e bisogna stare attenti, perché se non c’è precisione può esserci ricorso. Per ogni tema ci vuole almeno mezz’ora, se tutto va bene. E alla fine ecco il risultato: Micheletti ha preso 13/15, il voto che le avrei dato subito, e passiamo al prossimo. Perché la scuola di oggi pretende oggettività, ma alla fine l’oggettività si sbriciola in follia.