Diario
S'io fossi ministro dell'Istruzione. Decalogo per una riforma della scuola
Semplificare il linguaggio, rilanciare la musica, l'educazione fisica e gli istituti professionali. E poi meno precarietà e salari più alti, aggiornamento costante per i docenti. Un programma fantasioso, suscettibile di miglioramenti, revisioni, critiche, sberleffi. Parliamone
La mia autocandidatura a ministro dell’Istruzione ha prodotto qualche consenso e parecchie perplessità, incoraggiamenti e diffidenze, come è normale che sia. In fondo io chi sono? Un semplice insegnante di lettere del professionale con nessuna competenza amministrativa, legislativa, tecnica, e poi anche uno scrittore, cioè un mezzo artista, uno che avanza nel fumo più che nell’arrosto. Dunque capisco che molti si domandino: ma questo che cerca, che vuole? Un altro galletto nel pollaio, un altro che alza polvere e confonde? Può darsi, e allora forse è giusto che io provi ad esprimere rapidamente alcune convinzioni, tutte suscettibili di miglioramenti, revisioni, critiche, sberleffi.
Allora, punto primo: la scuola ha bisogno di ritrovare in pieno la sua missione, che è educare, preparare, formare, non moltiplicare scartoffie, non oberare gli insegnanti di compiti burocratici, non rubare loro il tempo dello studio e della preparazione costringendoli a compilare inutilissima cartaccia, reale e digitale. Quindi la prima cosa da fare è: semplificare. Basta con il linguaggio ostrogoto di circolari incomprensibili, con le decine di acronimi dietro le quali aleggia il nulla, basta con questo quintale di parole minacciose in quanto astruse e assurde che inquietano e appesantiscono il lavoro dei professori. La scuola deve insegnare la chiarezza, dunque sia chiaro ogni suo documento, ogni suo pensiero.
Punto secondo: rilancio degli istituti tecnici e professionali. In questi anni si sono inventati licei di ogni genere, a volte pure creazioni ministeriali, e invece sono state dimenticate le scuole dove gli studenti possono apprendere un lavoro, che produrrà stipendi, indipendenza, libertà e responsabilità. Abbiamo un numero spropositato di giovani che hanno abbandonato studi sbagliati e non hanno trovato alcun lavoro, che sbandano tra la depressione della cameretta e il rischio della strada. Potenziamo i tecnici e i professionali, che tra l’altro assorbono e aiutano molti immigrati, desiderosi di sistemarsi in fretta nel mondo del lavoro.
Punto tre: riaccendiamo l’energia fisica dei nostri adolescenti, aumentiamo notevolmente le ore di educazione fisica, perché un sedicenne ha bisogno di muoversi, correre, saltare, altrimenti in poco tempo ingrassa, si abbatte, si trascina malinconicamente. Non venite a dirmi che è una soluzione parafascista, è solo attenzione alla vita complessiva dei ragazzi, in Croazia e in Slovenia fanno educazione fisica ogni giorno.
Punto quattro: lezioni di cinquanta minuti e poi dieci minuti di pausa, come accade nelle scuole scandinave. Ogni ora sia divisa così, studio e aria aperta, concentrazione e rilassamento.
Punto cinque: musica a scuola, dalle elementari alle superiori. Due o tre ore alla settimana. I ragazzi amano la musica, che è matematica e sensibilità, e sarebbero felici di imparare a suonare uno strumento, da soli e insieme agli altri.
Punto sei: corsi di aggiornamento per gli insegnanti che non siano solo tediose lezioni su come si usa il registro elettronico o come si organizza una programmazione, ma siano corsi che arricchiscano la cultura di chi va in classe per spiegare il passato e il presente. Corsi su cosa è accaduto negli ultimi trent’anni o quaranta nella letteratura, nella scienza, nell’arte, nella storia del nostro paese e del mondo, perché i ragazzi amano il presente.
Punto sette: cancellare l’alternanza scuola-lavoro per i licei classici e scientifici e rafforzarla per i professionali e tecnici. Nei licei è tempo perso, nei professionali è fondamentale e agli studenti piace moltissimo.
Punto otto: riformulare le graduatorie scolastiche in modo che non ci siano plotoni di insegnanti costretti a svegliarsi alle tre di mattina per prendere un treno che li porterà in scuole lontane centinaia di chilometri da casa loro. Arrivano stanchi, amareggiati, infelici, e certo così non possono dare più di tanto.
Punto nove: ridurre al massimo la precarietà. Chi insegna a scuola da dieci, quindici, vent’anni non può tremare ogni settembre nel timore di non essere richiamato. Non può cambiare scuola ogni anno perché laggiù c’è un posto libero da occupare, almeno per un poco.
Punto dieci: aumentare gli stipendi, per forza. Un professore al primo impiego guadagna 1.400 euro, e a volte nemmeno gli bastano per trovare una sistemazione decente in una città sconosciuta, dove però c’è una cattedra che aspetta di essere occupata. I professori non possono essere così poveri, si mortificano, si spengono nell’ansia di arrivare a fine mese.
Questi i punti essenziali di un fantasioso programma. Parliamone, discutiamone, semplicemente.