burocratese
Le comunicazioni scolastiche, capolavoro di incomprensibile burocratese
Chiunque abbia a che fare con le istituzioni della scuola sa che invece di dire o scrivere “cane” preferiscono “quadrupede addomesticato all’interno della cultura natufiana”. Anche sul Covid la musica non è cambiata: l'esempio del comune di Milano
Ogni genere di insulto è ormai considerato lecito quando si parla di chat di genitori, che proprio in questi giorni, dopo un felice letargo – felice anche perché avevamo dimenticato la loro esistenza – cominciano a fare capolino nei telefoni. Ma a ricordarci che l’estate è agli sgoccioli ci sono anche le, meno innocue, comunicazioni della scuola. Dopo essere scomparse due mesi se non per chiedere l’usuale versamento facoltativo alla scuola, la cui ricevuta di attestato di pagamento però, in maniera perfettamente orwelliana, è obbligatoria per iscriversi al nuovo anno scolastico, proprio qualche giorno fa è arrivata una comunicazione del comune di Milano che merita un po’ di attenzione perché è un tale capolavoro di non-lingua che neanche i burocrati di Gogol avrebbero potuto produrla.
L’oggetto della comunicazione si presenta subito in maniera esoterica: “Corresponsabilità educativa e misure di mitigazione degli effetti delle infezioni di Sars-CoV-2 nei servizi all’infanzia”. Chiunque abbia a che fare con le istituzioni scolastiche sa che invece di dire o scrivere “cane” preferiscono “quadrupede addomesticato all’interno della cultura natufiana” e infatti già solo queste due righe basterebbero a mettere in chiaro la questione: ogni comunicazione scolastica arriva con un linguaggio il cui unico scopo è chiaramente quello di nascondere il vero senso delle cose dietro una fitta coltre fumogena di ridondanze e parole artificiose. Un’e-mail che poteva semplicemente presentarsi come “Nuove regole Covid a scuola”, che è poi quanto ogni genitore interessato sarà andato a cercare su Google, finisce nel cestino di quasi tutti per via della sua oscurità.
Il mistero, quindi, è: perché le comunicazioni scolastiche non si possono scrivere nella lingua che parlano le persone che frequentano la scuola? Chi, al di fuori degli articoli delle riviste scientifiche per ricercatori, dice ancora Sars-CoV-2? Davvero persone che, con buona probabilità, hanno studiato a lungo lingue o letteratura o comunicazione non conoscono un’espressione più felice di “misure di mitigazione degli effetti delle infezioni di Sars-CoV-2”? Quattro specificazioni messe in fila, alcune sostituibili quantomeno con un’altra preposizione semplice, se non proprio cancellabili perché superflue.
Oltretutto, Milano è una delle città d’Italia in cui la presenza di figli di immigrati è più numerosa, dove che lo ius scholae sia una necessità oltre che un sacrosanto diritto è un’evidenza quotidiana: perché nessuno si domanda mai cosa possano comprendere di un testo del genere certe persone? Sarebbe anche un comune con una giunta di sinistra ormai da tre mandati, che fa vanto della sua inclusività, cosa può capire un non madrelingua di certe espressioni?
D’altra parte, è anche vero che un po’ di uguaglianza è comunque garantita perché ogni volta che un genitore domanda aiuto per sciogliere un complicato arzigogolo del genere anche il madrelingua non può far altro che alzare le braccia. Ma andiamo avanti, così che il senso di questa filippica diventi ancora più chiaro, perché forse il primo paragrafo della lettera è il vero capolavoro e recita infatti così: “In coerenza con le indicazioni strategiche ad interim per preparedness e readiness ai fini di mitigazione delle infezioni da Sars-CoV-2 nell’ambito dei servizi educativi per l’infanzia gestiti dagli enti locali, da altri enti pubblici e dai privati, e delle scuole dell’infanzia statali e paritarie a gestione pubblica o privata per l’anno scolastico 2022 -2023 dell’Iss e del relativo Vademecum pubblicato sul sito del Miur, si è reso necessario aggiornare le misure di mitigazione delle infezioni da Sars-CoV-2 nell’ambito dei servizi all’infanzia del comune di Milano, attraverso il ripristino di modalità organizzative coerenti con il mutato scenario epidemiologico”.
Dunque questa famigerata mitigazione delle infezioni da Sars-CoV-2 ha bisogno anche di “indicazioni strategiche” – perché solo “indicazioni” non bastava? – e naturalmente queste indicazioni non sono provvisorie, perché sarebbe troppo semplice, ma sono “ad interim” e subito dopo a “ad interim” viene aggiunto un funambolico “per preparedness e readiness”, cioè due termini inglesi accanto a una locuzione latina. (Più avanti anche un “vademecum” per non farsi mancare nulla). Ci sono tanti sinonimi in italiano come prontezza, allerta, buona volontà, sollecitudine e ce ne saranno altri ancora, ma, evidentemente, nessuno di questi è parso all’altezza della profondità di “preparedness e readiness”. Perché poi entrambi ci si chiede. Avranno pensato che era meglio abbondare, anzi, melius abundare quam deficere, come scriverebbero loro. E, d’altronde, nella città che usa food per dire cibo, sembra necessario importare altri termini inglesi per significati davvero intraducibili. (Altra prova di milanesità del documento è ovviamente l’uso di “in” al posto di “nello” o “nella”, ma questa è un’altra storia).
Un paio di anni fa, Claudio Giunta ha pubblicato un manuale, “Come non scrivere” (Utet), all’interno del quale uno dei capitoli, il più divertente, era dedicato proprio al linguaggio della scuola in Italia, a quanto fosse astruso e a quanto fosse paradossale che proprio la scuola che dovrebbe insegnare a farsi capire adoperi un linguaggio che è l’esatta contraddizione di questo scopo, ma è evidente che chi scrive certe comunicazioni non sente che il suo scopo sia farsi capire, quanto piuttosto essere integrato a un linguaggio iniziatico di burocrati. Quando, comunque, come uno di quegli esploratori nella giungla ci si riesce a fare strada con un machete tra le parole vuote e si raggiunge il senso ultimo della comunicazione, si scopre che chi sa di avere il Covid o ha sintomi molto evidenti non può andare a scuola e che bisogna lavarsi le mani spesso, “anche con soluzione idrolitica” che, presumo, secondo loro sia il gel.