La lettera dei prof
Chi è contro il merito, è per lo status quo
Il futuro della scuola si gioca sulle capacità e sugli strumenti dati a tutti, anche a chi è privo di mezzi privilegiati, per raggiungere determinati obiettivi: si guardi all'articolo 34 della Costituzione
Al direttore - La scuola italiana, e non da oggi, ha di fronte sfide importanti: dallo sviluppo di una adeguata formazione professionale alla realizzazione di un efficace orientamento per la prosecuzione degli studi dopo le scuole superiori, dal supporto a situazioni familiari difficili al sostegno per le condizioni di disabilità e alla realizzazione di politiche dell’inclusione. A tutte le persone che operano nel settore dell’istruzione (ivi compreso il volontariato) è richiesto uno sforzo convinto per il futuro dei nostri giovani.
Siamo coscienti che il futuro dell’Italia è legato all’intensità del nostro impegno e alla capacità di rispondere a queste sfide. La stella polare del nostro intervento rimane l’articolo 34 della Costituzione, di cui è opportuno richiamare il contenuto. Il primo comma esprime un perentorio messaggio di inclusività: la scuola deve essere aperta; la dispersione scolastica deve essere combattuta; andare a scuola è un diritto e nello stesso tempo un dovere. Il secondo comma dice che la scuola deve dare gratuitamente una preparazione a tutti, indicando un numero minimo di anni, ma non un numero massimo. Nel 2005 è stata estesa la durata dell’obbligo scolastico, stabilendo che la Repubblica deve assicurare a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età.
La Costituzione precisa, inoltre, che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Tutto ciò significa che la scuola non può abbandonare nessuno durante il periodo di formazione, dovendo assicurare ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, il diritto a proseguire i loro studi fino al raggiungimento dei gradi più alti. Quindi, si evoca chiaramente una politica attiva, caratterizzata da un concreto sostegno sociale e formativo per permettere ai giovani dei ceti privi di adeguate risorse economiche e culturali di raggiungere posizioni apicali nella società. Rispetto a questo sostegno si pone il richiamo agli aiuti finanziari nel terzo comma conclusivo, dove si enuncia un principio ancora più “sfidante”. Capacità e merito sono quindi princìpi costituzionalmente protetti. La scuola deve predisporre gli strumenti per superare le differenze sociali e le barriere di censo, consentendo a chi lo merita di andare avanti con l’attribuzione (per concorso) di borse di studio, assegni e altre provvidenze.
Alla luce di questo quadro, possiamo oggi considerare inopportuno il richiamo alla capacità e al merito? La risposta non può non essere negativa se si pensa che i costituenti vollero sottolineare che l’intervento sulla parificazione della possibilità di accesso all’istruzione e alla conoscenza è fondamentale per consentire l’ascesa sociale a tutti e l’affermazione di ogni individuo: in tale contesto assumono rilievo capacità e merito. In effetti la capacità e il talento da soli non bastano: serve l’impegno ed esso va valorizzato e premiato per superare le differenze sociali e di censo. Chi è contro la valorizzazione della capacità e del merito, intese nel senso dei padri costituenti, è per il mantenimento dello status quo.
Se non si guarda alla capacità e al merito non c’è possibilità che i migliori emergano e saranno sempre avvantaggiati i figli delle famiglie più ricche. Il rifiuto della capacità e del merito deprime l’impegno individuale ed è destinato a sfociare nel mantenimento di ingiustificati privilegi. Non muoversi in questa ottica significa fare parte uguali fra diseguali che, come diceva Don Milani, è la massima delle ingiustizie. L’equivoco ricorrente nel dibattito pubblico è quello di pensare che merito significhi gara e competizione: per i costituenti il richiamo al merito non aveva questo significato, ma tendeva a perseguire l’obiettivo di una scuola che favorisse la crescita personale e intellettuale dei giovani.
Merito non è selezione, ma attenzione alle qualità e ai pregi di ciascuno. Va da sé che una tale concezione del merito non debba riguardare solo gli studenti ma estendersi anche ai docenti: una delle questioni aperte della scuola riguarda la loro valorizzazione e motivazione lavorativa. Bisogna quindi impegnarsi per valutare adeguatamente la capacità e il merito degli studenti e dei docenti, costruendo un sistema di valutazione adeguato ai nostri tempi, improntato a un metodo nuovo, che prenda spunto dalle esperienze di successo dagli altri paesi e che tenga conto del progresso tecnologico. Questo ci si aspetta da chi ha responsabilità di governo del settore dell’istruzione: la scuola è un bene comune che va rigorosamente protetto e coltivato.
Vincenzo Mannino
professore emerito Diritto romano
Università degli studi di Roma Tre
Marco Paolino
professore di Storia contemporanea
Università degli Studi della Tuscia
Alessandra Veronese
professoressa di Storia medioevale
Università degli Studi di Pisa
Vincenzo Vespri
professore di Analisi matematica
Università degli Studi di Firenze