Vasto programma
Lo sciopero che mostra tutta la retorica quando si attacca il sistema scuola
Il Sisa – Sindacato indipendente scuola e ambiente ha indetto per venerdì una mobilitazione, che si poterebbe definire "a strascico": si protesta contemporaneamente per l’alto e per il basso, per la parte e per il tutto. Dallo stipendio al razzismo e nel cahier de doléances c’è pure il Cav.
Berlusconi, l’America latina e lo studio della lingua araba appaiono tutti nella densa paginetta con cui il Sisa – Sindacato indipendente scuola e ambiente, con sede a Casale Monferrato – ha indetto per venerdì 18 uno sciopero del comparto scuola. Forse temendo l’insuccesso, visto che all’ultima sollevazione ha partecipato meno dell’uno per cento del personale, oltre a puntare sul classico venerdì il Sisa ha optato per uno sciopero a strascico.
Rivendicando i pregressi successi (ma quali?) contro il Cav., Monti, la Fornero e Draghi, il sindacato chiama infatti a scioperare contemporaneamente per l’alto e per il basso, per la parte e per il tutto, per incrementare lo stipendio e contrastare il razzismo, rendere elettiva la carica di dirigente scolastico e costruire “un mondo multipolare, solidale e fraterno”, difendere i continenti poveri dalle “multinazionali speculative e finanziarie” ed eliminare la laurea magistrale dai prerequisiti per diventare Dsga, uniformare il ruolo di docente dall’asilo al liceo e ribadire “l’impegno per l’ambiente e per il clima”, insegnare le lingue orientali e insinuare “la dubbia legittimità costituzionale del certificato verde”, “risolvere le grandi contraddizioni planetarie” e abolire l’alternanza scuola/lavoro “perché uccide”.
Vasto programma, per il quale una sola giornata di sciopero potrebbe rivelarsi insufficiente. Mostra però anche, e in modo macroscopico, la più diffusa inclinazione retorica quando si protesta contro il sistema scuola: concentrarsi su dettagli puntiformi e tecnicalità (quanti nel vasto mondo sanno cos’è un Dsga?) lasciando che galleggino in un mare di nobili ideali e buzzword alla moda, esacerbati dal ricorso all’allarmismo sfrenato di un lessico iperbolicamente peggiorativo. Così che possa apparire inevitabile, se si vuole la pace nel mondo o la difesa dell’ambiente, far eleggere i presidi dal collegio docenti anziché selezionarli tramite concorso.
Lo stesso stratagemma è stato messo in atto da Roars – il sito Returns On Academic Research and School – che, in un articolo su Pnrr e prove Invalsi, ha estratto dalla manica la “schedatura di Stato”, la Corea del nord, l’algoritmo crudele. Com’è noto, da tempo l’Invalsi organizza su più gradi del percorso scolastico delle prove uniformi per tutta la nazione i cui risultati anonimi, analizzati come big data secondo uno standard univoco, rendono il senso di come vadano in italiano, matematica e inglese gli allievi di un istituto, di una città, di una regione. Il Pnrr prevede che gli esiti dei test vengano utilizzati come base per interventi mirati di prevenzione del disagio scolastico; pertanto adesso gli istituti potranno venire a conoscenza dell’identità dei casi più critici facendo richiesta all’Invalsi di decrittare il codice identificativo.
Per Roars si tratta di un marchio di infamia, un “bollino” per “disagiati”, un procedimento assimilabile alle “occhiute pratiche dei regimi che stavano oltre la cortina di ferro”. Eppure dal Pnrr non risulta che l’individuazione degli studenti in difficoltà a superare un test nazionale sia volta a sottoporli allo scudiscio; è finalizzata, si apprende, a fornire miratamente strumenti concreti di contrasto alla cosiddetta dispersione scolastica implicita, quella degli studenti che restano sui banchi ma è come se non ci fossero. Roars trova inaccettabile che la scuola italiana analizzi su tutto il territorio il rendimento dei propri alunni, comparandolo a una soglia e individuando quelli che non riescono a raggiungere i livelli richiesti dal proprio grado di studio, in modo tale che le loro identità siano note ai docenti i quali possano intervenire di conseguenza nell’ambito di un’azione coordinata col resto dell’istituto. Messa così, certo, può sembrare terribile. Possiamo tuttavia tranquillizzarci: nelle scuole italiane, una simile sistematica schedatura di stato – terribile, spietata, distopica – esiste in realtà da molto tempo. E’ la pagella.