disuguaglianze
L'utopia dell'uno vale uno fra gli atenei spiegata con l'“University challenge”
Un gioco televisivo della Bbc scatena la protesta contro Cambridge e Oxford. Ecco perché non è una polemica trascurabile
Per questionare il valore legale della laurea, che pone allo stesso livello quelle prese in qualsiasi università, non c’è bisogno di ricorrere a Luigi Einaudi; può bastare un quiz televisivo. La Bbc si trova al centro di una polemica su “University challenge”, gioco cui prendono parte squadre composte da quattro studenti iscritti allo stesso ateneo. Con la singolare eccezione che, dalla primissima edizione del quiz nel 1962, Oxford e Cambridge non partecipano come università ma suddivise in squadre per ciascuno dei college, massimo cinque per anno. Un professore dell’University College London, Frank Coffield, ha protestato contro l’iniquità: ogni squadra universitaria rappresenta infatti decine di migliaia di iscritti, mentre ogni squadra di un college ne rappresenta all’incirca tre o quattrocento.
Non è una polemica trascurabile. “University challenge” è una delle più classiche trasmissioni britanniche, condotta per venticinque anni dal mitico Bamber Gascoigne su Itv e da trenta da uno dei più grandi giornalisti inglesi, Jeremy Paxman, sulla Bbc. Da sempre è vista come uno spaccato pop del mondo accademico, una specie di osservatorio permanente sul senso dell’università. “University challenge” ha mostrato come si sono evoluti gli studenti in termini di genere, estrazione sociale, etnia e anche età: nel 1999 la competizione fu vinta dalla Open University di Milton Keynes, specializzata nell’insegnamento a distanza, con una squadra di adulti.
Nella circostanza Paxman obiettò che la partecipazione di adulti non era in linea con lo spirito della trasmissione ma gli fu risposto che lo spirito della trasmissione è quello dell’università, e all’università hanno diritto a studiare anche i cinquantenni.
La protesta contro la proliferazione di Oxford e Cambridge è anche una polemica sul senso della laurea, sul bivio che stanno incontrando gli atenei.
La posizione di Coffield è sostanzialmente egualitaria, sul modello italiano: ritiene che Oxford e Cambridge valgano tanto quanto numerose altre università, quindi debbano avere identica rappresentanza. La tradizione di “University challenge” si pone invece su un piano rigidamente gerarchico, sul modello britannico o dell’Ivy League statunitense. La motivazione formale è che nei college di Cambridge e Oxford si offre un servizio di formazione e insegnamento – la cosiddetta tuition – quindi ciascuno di essi può essere equiparato a un ateneo. La ragione sottostante è che offrono una preparazione superiore rispetto alle migliori delle università rivali. Pertanto, se formassero super squadre di ateneo, ammazzerebbero la competizione; mentre, se diminuisse il numero dei partecipanti cantabrigensi e oxoniani, il livello del quiz si abbasserebbe.
Già nel 1975 la squadra dell’Università di Manchester si ammutinò rispondendo “Marx”, “Lenin” e “Che Guevara” a qualsiasi domanda, in protesta contro la disparità del regolamento. All’epoca fu presa come una pittoresca manifestazione di dissenso da parte di eccentrici rivoluzionari destinati a conformarsi. La novità è che ora è cambiato il senso del contendere. Nell’ultimo mezzo secolo gli atenei sono aumentati e il numero di ventenni che si iscrive all’università è cresciuto vertiginosamente. L’alternativa, secca, richiede una decisione culturale a monte. O si fa un punto d’onore del dover garantire lo stesso livello di istruzione a tutta questa miriade di iscritti, equiparando tutte le università; ma in tal caso ci vogliono politiche che garantiscano l’eguaglianza uniformando i curriculum e ritirando lo status di ateneo agli enti che non garantiscono un determinato standard. Oppure si ammette che esiste una gerarchia, e in tal caso bisogna riconoscere senza paura che una laurea non vale l’altra.
La risposta sta forse nell’albo d’oro di “University challenge”. In cinquantuno edizioni, i college di Oxford e Cambridge hanno vinto ventisette volte, lasciando dodici università a dividersi i restanti ventiquattro titoli. Quest’anno, però, sono stati già tutti eliminati ai quarti di finale.