Studentati tra stato e mercato. Una soluzione plurale
Come gestire in modo pragmatico l’emergenza posti letto. La voce del Rettore dell’Università di Pavia e altri spunti
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, che replica alla protesta di uno studente per il caro affitti dicendo che lui alla sua età ha venduto tappeti e pulito ringhiere, è l’ennesimo esempio del tono ideologico e retorico (anche un po’ noioso) che ha assunto il dibattito nazionale su un tema che forse potrebbe essere affrontato in modo più pragmatico. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, se esiste un modello economicamente sostenibile per i privati e che, però, renda possibile affittare agli universitari alloggi sotto i 6-700 euro mensili anche in grandi città, oltre che in quelle più piccole come Pavia, dove, come raccontato dal Foglio, un sistema di collegi e di abitazioni a prezzi calmierati contiene i prezzi intorno a 3-400 euro per frequentare un ateneo comunque storico e prestigioso. Perché il problema esiste ed è inutile negarlo: l’Italia, rispetto agli altri paesi europei, ha un gap enorme di posti letto, come ha messo nero su bianco la commissione ministeriale per la legge 338, che dal 2000 finanzia la costruzione di studentati pubblici e parapubblici ed è arrivata al quinto bando, tutt’ora in corso.
Nella relazione presentata qualche giorno fa al forum della Pubblica amministrazione, il presidente della commissione, Francesco Svelto, che dell’Università di Pavia è il Rettore, spiega che attualmente in Italia ci sono circa 60 mila posti in residenze pubbliche e simili e un po’ più di 10 mila gestiti da privati. E questo a fronte di circa 500 mila studenti fuori sede. “E’ un divario importante – afferma Svelto – soprattutto se confrontiamo la situazione italiana con quella europea: l’Inghilterra ha una tradizione secolare e infatti mette a disposizione più di 780 mila posti letto, ma la Francia ne ha 370 mila e la Germania 314 mila. Noi siamo molto indietro, pur considerando questi dati in rapporto alla popolazione”. Dunque, il problema c’è e si dovrebbe partire dai dati.
Dei 60 mila alloggi attualmente disponibili, buona parte è stata finanziata grazie alla 338: 40.000 posti (di cui 25 mila di nuova costruzione e 15 mila da ristrutturazione). I restanti 20 mila si devono a interventi diversi: 7.500 posti finanziati dal Pnrr e i restanti grazie a iniziative di privati. “Per incrementare velocemente il numero di alloggi gli interventi della 338 non bastano – ammette il presidente della commissione – E le ragioni riguardano costi e tempi. Le pubbliche amministrazioni hanno vincoli inderogabili, legati alla pubblicazione dei bandi e all’aggiudicazione di appalti e contratti. Risultato: si realizzano circa 1.000 posti all’anno, troppo pochi rispetto alla domanda”.
Il governo Meloni ha sbloccato 660 milioni in buona parte provenienti dal Pnrr per costruirne degli altri. Saranno sufficienti per colmare il gap? Il conto è presto fatto. Se si volessero realizzare i 52.500 posti previsti dal Piano europeo con finanziamenti ex novo, considerando un costo medio di 90 mila euro ad alloggio, si arriverebbe a una spesa complessiva di circa 5 miliardi di euro, troppo alta per lo stato. “La sfida richiede l’impegno di una pluralità di attori, compresi gli investitori privati, il che deve naturalmente prevedere una regia pubblica – prosegue Svelto – Se da un lato è necessaria un’adeguata remunerazione al gestore, dall’altro va prevista una differenziazione delle rette in base al reddito. Sarebbe importante organizzare al più presto un tavolo dove governo, amministrazioni locali, università, enti per il diritto allo studio, associazioni e investitori privati, nella diversità dei loro ruoli, possano operare”.
La commissione ministeriale, comunque, non sarà coinvolta nella ripartizione nei nuovi bandi del Pnrr, i quali funzioneranno secondo una logica di contributi ai gestori (pubblici e privati) degli studentati e non di cofinanziamento al 50 per cento come prevede la 338 alle università o ai soggetti d’interesse pubblico che fanno domanda mettendoci l’altro 50 per cento. Tra l’altro, proprio la ripartizione geografica dei fondi spesi in 23 anni con questa legge (circa un miliardo di euro) fa capire come si sia creato l’attuale squilibrio geografico nella disponibilità di residenze universitarie perché il 55 per cento delle risorse sono andate al nord, il 25 per cento al centro e il 20 per cento al sud Italia, in base alle richieste. Dunque, checché ne dica chi dà dei “fannulloni” agli studenti che protestano, il ruolo dei territori, università, comuni e regioni compresi, è fondamentale perché è da qui che partono i progetti, che dalla commissione vengono approvati o meno anche in base alla loro qualità.
Poi, è vero che quando lo stato ci mette i soldi si innesca una macchina farraginosa, come spiega al Foglio l’architetto Marco Zanibelli, dello studio Lombardini 22 di Milano, tra codice degli appalti e regole urbanistiche che non prevedono una destinazione d’uso di pubblica utilità. “Chi realizza questi immobili – dice Zanibelli - è costretto ad accatastarli come strutture alberghiere oppure come abitazioni e questo contribuisce a farne lievitare gli oneri insieme con l’obbligo che c’è stato fino ad oggi di costruire dei parcheggi adiacenti quando poi gli studenti usano quasi tutti i mezzi pubblici. Insomma, la presenza di privati nelle iniziative della 338 è sempre stata frenata dal timore di dover affrontare extra costi e su questi aspetti bisognerebbe lavorare”.
Zanibelli è l’architetto che ha contribuito a realizzare il nuovo studentato dell’Università Bocconi di Milano, che ha usufruito di fondi pubblici ed è stato preso di mira per i costi delle residenze giudicati elevati. “Non entro in questo aspetto – afferma – ma posso dire che per le università gli studentati non sono certo un affare, soprattutto quando assicurano un buon livello di servizi”. E proprio i servizi annessi alla residenza spesso fanno lievitare i costi di affitto soprattutto quando le strutture sono completamente private perché la logica è più quella da “student hotel”, il che va benissimo perché risponde a una domanda di fascia medio-alta (anche se in alcuni casi viene riservata una quota ai meritevoli a prezzi più contenuti), ma comunque non risolve il problema della carenza di alloggi. E allora?
ll Foglio ha rivolto il quesito alla Fondazione per l’Housing sociale, che, fondata dalla Fondazione Cariplo nel 2004 con la collaborazione della Regione Lombardia e dell’Anci, ha dimostrato in tutti questi anni che costruire abitazioni a prezzi calmierati in Italia non solo è possibile, ma è il terreno dove investitori e amministratori locali si possono incontrare con reciproca soddisfazione. Un modello che dalla Lombardia è stato esportato in tutta Italia, spesso in partnership con la Cdp. Da qualche tempo la Fondazione gestisce anche degli studentati nella zona di Milano. “Siamo convinti che una soluzione che metta insieme pubblico e privato si possa trovare – dice il presidente Alberto Fontana – Un elemento importante è la progettazione degli spazi delle residenze. In fondo, gli studenti hanno bisogno di un posto letto, e cercare di massimizzarne il numero attraverso anche una razionalizzazione delle aree comuni è un modo per favorire la sostenibilità economica e andare incontro alle richieste degli investitori finanziari che, tra l’altro, sono sempre più orientati verso iniziative che hanno un impatto sociale”.
Basterà per convincerli a impiegare capitali in residenze per studenti? “La nostra esperienza ci suggerisce che ci vogliono capitali pazienti – replica Marco Gerevini che di Fhs è consigliere delegato – che vuol dire disponibilità a investire nel lungo periodo, con una sensibilità di tipo sociale e con attese di rendimento anche un po’ al di sotto della media del mercato”. Che tipo di rendimento si aspetta un investitore “paziente”? “Dal 4 al 6 per cento e mi creda che sarebbe sufficiente a rendere sostenibile anche lo student housing”.