La classe non è acqua
“La scuola italiana manca di ironia”. Parola di Filippo Caccamo (ma anche di Gianmaria)
Da semplici video ironici, al romanzo “Vai tranquillo. Agi e disagi di uno studente universitario”, fino agli spettacoli teatrali. Raccontare con umorismo la propria categoria: "Bisogna ridare dignità a questa professione. Ricominciare dagli insegnanti"
Questo articolo è tratto dalla newsletter La classe non è acqua, a cura di Mario Leone. Clicca qui per iscriverti
La storia di Filippo Caccamo è quella di un trentenne con la capacità di vivere la vita dei suoi coetanei – lavoro, rapporti e problematiche – cogliendone tutto il lato ironico, i tic e le manie. Un talento che scopre negli anni dell’università studiando Beni culturali e poi Storia dell’arte alla Statale di Milano. “Le mie giornate trascorrevano tra Madonne, Bambini e Crocifissi – racconta al Foglio – poi mi sono accorto che tutti facevano video sulle classi scolastiche e nessuno sugli universitari. Ho iniziato io, ricevendo subito ottimi riscontri”. Una sorta di passatempo che un ragazzo brillante propone per prendere in giro la categoria a cui appartiene. Il gioco però inizia a farsi serio e quelle storie rubate qui e là in Ateneo diventano “Vai tranquillo. Agi e disagi di uno studente universitario”, romanzo edito da Mondadori che racconta di Andrea in lotta con quell’“invincibile Leviatano” di nome Università. Iniziano così i primi spettacoli teatrali dove il pubblico non è solo quello degli amici universitari e dei loro conoscenti. La platea si allarga, come la notorietà.
I prof. si sentono guardati e raccontati. Questa è la chiave di un successo che non è solo sul web ma anche a teatro. “Tel chi Filippo” è lo spettacolo che da qualche mese riempie di un pubblico eterogeneo i teatri in tutta Italia. “Doveva essere solo qualche data e invece le richieste sono state enormi e siamo felicemente costretti a organizzare un vero tour su e giù per la Penisola”. Tanti gli insegnanti che riempiono le platee ma non mancano la gente comune e i giovani. “Ci sono molti miei colleghi – continua l’attore – che spesso tornano più volte a vedermi. Un affetto incredibile che nasce dalla gratitudine del sentirsi raccontati. Sono diventato un punto di vista e ritengo un privilegio raccontare la nostra categoria”. La nostra? “Sì, mi sento un insegnante. Non si smette mai di esserlo. Per ovvie ragioni ora sono in pausa perché lo spettacolo mi occupa tutti i giorni. Se questo successo dovesse finire, ritornerei in cattedra con immenso piacere”. La scuola è sempre al centro del dibattito e nelle ultime settimane la “questione giovani” sembra essersi inasprita. Un osservatore acuto come Caccamo può offrire un punto di vista originale. “L’insegnamento è un lavoro, non un hobby o un part time. Le famose diciotto ore a settimana non sono vere. Sono il doppio. Quando dico ai miei coetanei che faccio l’insegnante sembra quasi che dica ‘Raccolgo le mele…’. Bisogna ridare dignità a questa professione. Ricominciare dagli insegnanti. Questo passa anche attraverso un adeguamento salariale che incentivi un maggiore impegno nel lavoro”.
E i giovani? “Il disagio nasce dalla mancanza di alternative al mondo tecnologico. Quando parli di qualcosa che è diverso da social e Whatsapp, ti guardano come se fossi di un altro pianeta. Questo disagio lo vedo sempre e solo arrivare dal mondo tecnologico”. Su quel mondo però, Caccamo ci ha costruito una carriera di successo. Gli chiediamo da che parte sta. “Ritengo che gli adulti e la scuola debbano offrire un’alternativa reale per rendere attiva e critica la quotidianità tecnologica dei ragazzi”. L’intervista volge al termine e chiediamo a Filippo che cosa manca alla scuola italiana. “L’ironia, assolutamente. Il non prendersi troppo sul serio è la base di tante cose. La scuola non riesce a farlo perché teme che attraverso l’ironia si perda l’autorevolezza. L’ironia invece ti permette di entrare in empatia con i ragazzi e con i nuovi metodi d’insegnamento. La scuola per avere autorevolezza non ha bisogno di severità ma di qualcosa che possa appassionare e coinvolgere gli studenti”.
generazione ansiosa