La polemica
Il Tasso, “l'inclusione”, la disciplina. Un libro utile contro la scuola senza merito
Se si leggesse il libro suggerito da Galli della Loggia si scoprirebbe che la scuola inclusiva non ha mai funzionato. Mentre le famiglie attrezzate riescono a rimediare, a esser danneggiati sono proprio i ragazzi che provengono dai contesti più disagiati
Rifletteva tempo fa Angelo Panebianco che il declino delle élite in Italia poteva ben essere sintetizzato in un’immagine: in molti anni di lavoro editorialistico, essendosi occupato molte volte dei problemi del sistema educativo, aveva riscontrato che l’argomento non suscitava nessun feedback con i lettori e tantomeno con i politici. E se un’intera società si disinteressa del problema educativo, è destinata al declino. Media e pubblico si occupano di scuola solo a ricasco di qualche polemica spesso legata a fattori come la disciplina. È il caso in questi giorni della vicenda del Tasso di Roma.
Persino la progressista Repubblica si è ritrovata a dover stigmatizzare il comportamento non degli studenti, ma dei loro nostalgici genitori che hanno generato “una reazione scomposta” ponendosi, loro, a difesa dei figli. Una mamma: “Come stiamo usando le parole punizione, repressione, educazione?”. “Un po’ a casaccio, in effetti”, è costretta a chiosare Repubblica. Un caso diverso, ma non scollegato, è la polemica per un breve corsivo di Ernesto Galli della Loggia che, segnalando un libro del professor Giorgio Ragazzini edito da Rubettino, “Una scuola esigente - Educazione, istruzione senso civico”, aveva criticato l’idea che la scuola debba essere solo “inclusiva”. Le argomentazioni migliori, stavolta, a GdL erano restate nella penna; da lì a farsi attaccare, anche al di là della lettera e delle intenzioni, è stato un attimo. Invece, chi provasse a leggere il volume di Ragazzini troverebbe argomenti e giudizi interessanti. E in grado da illuminare (un po’) vicende surreali come quella del Tasso o le tante che finiscono in cronaca: dagli studenti che bullizzano i prof. alla dispersione scolastica (altro che scuola inclusiva). Nota bene: Giorgio Ragazzini, professore di Lettere nelle scuole medie, fa parte del meritorio “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità” nato nel 2005 in area laico-liberale e molto distante, per idee e linguaggio, dalla palude buro-pedagogica e ministeriale che da decenni discetta e “riforma” la scuola italiana.
Già dal titolo, il saggio si annuncia critico non solo delle pedagogie e didattiche che in decenni hanno cancellato qualsiasi concetto di merito e di apprendimento individuale, sostituendolo con generiche “competenze” da acquisire; ma anche dei modelli organizzativi che hanno avuto come conseguenza l’indebolimento della figura docente e del (basico) principio di autorità. La scuola in cui sono todos liceales e gli insegnanti solo dei “facilitatori” non ha mai funzionato. Ma come spiega Giovanni Belardelli nell’introduzione, contrariamente a ciò che si sostiene di solito “l’autore ritiene che a essere danneggiati dalla scuola cosiddetta inclusiva… sono precisamente i ragazzi e le ragazze che provengono dalle famiglie più disagiate”. Perché a una scuola che offre poco e forma a bassa intensità i figli di famiglie attrezzate hanno modo di ovviare. Agli altri resta solo il gap.
L’egualitarismo che nega questa menzogna formale è il maggior danno fatto a loro. Ricorda Ragazzini che anche un innovatore attento al sistema educativo, e di sinistra, come Lucio Lombardo-Radice riteneva necessario “lo studio-lavoro, la lettura-riflessione, lo sforzo di comprensione tenace, l’applicazione disciplinata… la faticosa organizzazione della propria mente”, negli anni in cui il ’68 e il milanismo smontavano tutto. Il libro prova a mettere in ordine e confutare gli aspetti che da quella “rivoluzione” sono derivati: la mancanza di gerarchia e l’evanescenza delle figure parentali (i genitori del Tasso), la diminutio del valore del passato e del suo studio in favore di un presentismo senza radici, l’abbandono di ogni cura formale – dall’ortografia al voto al mito “motivazionale”. Poi la “abrogazione di fatto della disciplina” e la mancanza di un’idea “positiva” di autorità, molti gli esempi. Ci sono ovviamente aspetti su cui si può dissentire, come le critiche alla scuola media unificata, anche se oggi è innegabile che quei tre anni tutti uguali non funzionino più.
E c’è lo spinoso argomento della “retorica dell’inclusione” che però, a leggere, non è appello all’esclusione ma un pragmatico riconoscimento che non basta mettere tutti nello stesso banco per ottenere magicamente (cioè burocraticamente) che le difficoltà siano superate. Basterebbe pensare agli studenti stranieri non in grado di entrare “immediatamente” in una classe. C’è la medicalizzazione della scuola, “l’epidemia di diagnosi” Dsa e Bes di cui chi insegna conosce spesso la poca funzionalità. Ciò che viene criticato è il “groviglio di competenze” e procedure che spesso nella scuola reale lascia gli alunni problematici, le loro famiglie e anche gli stessi insegnanti in una desolante solitudine. Che gli studenti invece “avvantaggiati” perdano, in tutto questo, occasioni importanti è solo una inevitabile conseguenza. Nessuno pensa di tornare alle scuole di cent’anni fa, e non lo pensa l’autore. Ma negare i problemi, e la loro origine culturale, è un errore contro il futuro.