Controversie
I risultati dei test Invalsi nel curriculum scolastico: la Cgil s'indigna per la "schedatura"
Dopo anni di dietrofront a suon di emendamenti, nel 2024 un decreto ministeriale rilancia l'obbligo di inserire i dati dei test nazionali nel cv scolastico degli studenti
Come sempre, a scuola, è il giorno della marmotta. Nel 2017 la Buona Scuola impone di accostare i risultati dei test Invalsi al voto di maturità nel curriculum scolastico di ogni alunno, ma nel 2020 l’applicazione della legge viene bloccata da un emendamento di Sinistra Italiana. Nel 2022 il sito Roars evoca la Corea del Nord poiché, stando al Pnrr, i docenti possono chiedere all’Invalsi di decrittare i codici anonimi degli allievi che hanno conseguito i risultati peggiori, così da effettuare interventi mirati di recupero. Nel 2024, non appena un decreto ministeriale rilancia l’obbligo di inserimento dei risultati Invalsi nel curriculum scolastico, ecco che la Cgil parla di “schedatura individuale impropria”. Al lettore tramortito da questa gragnola di acronimi e tecnicismi, basti sapere questo: per valutare il rendimento di un alunno di quinta liceo – un maggiorenne, che può guidare l’automobile, votare alle elezioni, andare a vivere da solo e assumersi responsabilità – esistono due metodi. Uno è l’esame di Stato, la maturità che terrorizza ingiustificatamente le generazioni, visto che la commissione è composta da tre professori della sua classe e tre sconosciuti pescati da cittadine limitrofe; il voto viene determinato per il 40 per cento dalla media ottenuta nel triennio e, per il restante 60 per cento, dai saggi compromessi che la commissione raggiunge caso per caso, tramite due prove scritte e una orale. L’altro metodo è il test Invalsi: un rilevamento simultaneo nazionale, a scopo puramente statistico, con un test per ciascuna conoscenza di base, quali l’italiano, la matematica e l’inglese.
Confrontando i dati emerge che i diplomandi italiani conducono una doppia vita: sono infatti particolarmente bravi secondo le commissioni d’esame e altrettanto ciucci secondo l’Invalsi. La disparità di valutazione fra le diverse commissioni risalta dalla scala di generosità nel voto finale: in Lombardia si diploma con lode un candidato su cento, in Calabria il quintuplo. La disparità fra i due metodi di valutazione risalta invece da incongruenze a dir poco pittoresche. Ad esempio, scrive Repubblica, nella famosa Calabria il 5,6 percento prende la lode alla maturità, ma solo il 3,1 attinge a risultati eccellenti nella prova Invalsi di lettura e scrittura; se ne deduce che il 2,5 per cento dei diplomati calabresi con lode non sa bene l’italiano. Accostare i due risultati consentirebbe di ancorare la diversa generosità delle commissioni d’esame a una pietra di paragone univoca, nonché di far capire quali scuole e docenti valutino a capocchia alunni che loro stessi hanno lasciato con imbarazzanti lacune sui fondamentali.
È per questo che i sindacati si indignano, mica per la presunta schedatura degli studenti. Del resto, lo sapevate che la scuola, oltre al diploma, produce questo dettagliato curriculum dello studente, che non viene reso pubblico? No. Quindi, forse, non c’era miglior luogo per nascondere il risultato del test Invalsi; se la Cgil non avesse protestato, non se ne sarebbe accorto nessuno.