il colloquio
Il rettore di Bari: “Sul dual use non faremo sconti agli atenei iraniani”
Parla Stefano Bronzini, il cui ateneo ha accordi con gli ayatollah: "Sull'applicazione militare delle ricerche applicheremo lo stesso rigore per tutti. Non è vero che abbiamo interrotto i rapporti con Israele. I boicottaggi sono sciocchi"
Rettore, avete interroto i rapporti con le università israeliane ma andate avanti con quelle iraniane? “La correggo subito. Non abbiamo interrotto alcun rapporto con le università israeliane. Semplicemente, nella discussione che abbiamo avuto in una seduta del Senato accademico, abbiamo preso atto che nessun ricercatore ha voluto partecipare al bando Maeci”. A parlare è il rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini. Lo abbiamo cercato perché, dopo l’attacco di Teheran ai danni di Israele, ha assunto ancora più rilevanza la distonia per la quale alcuni atenei, come quello barese e quello di Torino, si sottraggono dalla collaborazione con le univeristà israeliane e non da quelle della Repubblica islamica.
All’Università di Bari attualmente annoverano 14 progetti di ricerca condivisi con istituzioni di ricerca iraniane, a Torino sono 16, ma casi simili ce ne sono anche in altri atenei italiani. Non è un controsenso? “Ma non è vero che abbiamo boicottato i rapporti con Tel Aviv. Neppure quando è scoppiata la guerra in Ucraina abbiamo interrotto i rapporti con la Russia. L’unica scelta che mi sono sentito di fare è stata quella di uscire, come rettore, dalla fondazione Med-Or, ma semplicemente perché quella era una carica soggettiva”. Vuole forse dirci che nel suo ateneo non hanno pesato le pressioni dei collettivi più rumorosi e pro Palestina? “No, perché noi abbiamo rapporti con tutti i nostri studenti basati sulla civiltà e sul dialogo. Direi che da un punto di vista del racconto sui media è come se si fossero messe in rilievo delle immagini in maniera un po’ scenografica”, dice Bronzini al Foglio.
Sarà. Allora vuole dirci che dei boicottaggi ha un’opinione negativa? “Di per sé i boicottaggi sono sciocchi, perché le università devono assumersi la loro autonomia. Agli atenei sta in capo non di costruire dei fossati, ma dei sentieri di pace. Ecco perché interrompere i rapporti è sbagliato. Ma ripeto, noi non l’abbiamo fatto”. Eppure avete molto calcato, voi, l’Università di Torino e la Normale, tra gli altri, sulla retorica del dual-use. “Perché quello è un tema delicatissimo. Parteciperemo alla scrittura del libro bianco a livello europeo. Alcune ricerche possono prestarsi a un utilizzo di questa fattispecie, per questo bisogna fare attenzione. Con un’università israeliana, per esempio, abbiamo un progetto limitato specificamente alla provincia di Bari: utilizziamo droni per la ricerca di discariche abusive. E’ evidente che l’applicazione di queste tecnologie è delicata perché si può arrivare a un utilizzo di precisione, anche in campo militare”.
Eppure non ci pare abbiate utilizzato la stesso scrutinio severo, lo stesso zelo sempre in ottica dual-use, per i progetti di ricerca sottoscritti con Teheran, piuttosto che con Cina, Russia e Turchia. “Ma le assicuro che il vaglio viene e sarà fatto per ogni progetto”, risponde allora Bronzini. “Non è che facciamo dei censimenti contro gli uni o contro gli altri”. Fatto sta che dal 7 ottobre nei campus degli atenei italiani si respira un brutto clima, tensioni costanti. Gli studenti ebrei denunciano sempre nuovi episodi d’intolleranza, di odio, un antisemitismo strisciante che nel caso dei boicottaggi diventa ancor più pericoloso perché subdolo, nascosto. “Io credo – dice Bronzetti – che il termine antisemitismo sia una parolaccia. Il nostro compito, non solo da rettori ma da docenti, da corpo accademico, sia lavorare perché tutti gli studenti si sentano al sicuro, protetti. Ho il ricordo di quando è scoppiata la guerra in Ucraina: feci un gruppo di lavoro di studenti russi e ucraini per far sentire le esigenze degli uni e degli altri. Agli studenti ebrei che studiano nelle nostre università bisogna garantire il massimo della sicurezza”.