Il commento
Nota ai rettori: le università non sono club per promuovere le pulsioni antisioniste
Esistono il ricercare, lo studiare, l’insegnare, esistono il sapere e la storia. Una democrazia liberale, anche e sopra tutto in ambito universitario, deve essere abbastanza forte da tutelare il diritto di espressione e lo spirito critico di tutti, con l’eccezione dell’antisemitismo genocidario
Secondo i Magnifici Rettori, versione Tomaso Montanari e altri in un manifesto del 17 aprile, bisogna promuovere la cultura della pace, della trasformazione nonviolenta dei conflitti, della diplomazia scientifica, formula che allude alla selezione politica degli idonei alla collaborazione nella ricerca e, nello specifico, al boicottaggio delle università israeliane. Si sapeva fin qui che nelle università si studiano matematica, fisica, ingegneria, medicina, linguistica, filologia, lettere antiche e moderne, giurisprudenza, per citare alcune delle materie più diffuse, e sopra tutto storia. Nel caso della cultura della pace e della trasformazione nonviolenta dei conflitti i rettori si riferiscono con solennità alla Costituzione italiana che ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e che fu scritta e approvata da uomini e donne di guerra.
Siamo alla vigilia del 25 aprile, festa nazionale in cui si celebra l’appello alle armi contro l’occupante nazista e i suoi tributari italiani rinserrati nella Repubblica sociale. Senza le armi, le truppe angloamericane, l’impegno partigiano questo paese non sarebbe diventato una Repubblica costituzionale, una solida democrazia capace di integrare nei decenni tutte le forze storiche entrate da sinistra, dal centro moderato, da destra, nel patto costituzionale voluto da cattolici, comunisti, socialisti, liberali, repubblicani e laici della tradizione azionista. La guerra civile fatta con il sangue dei vincitori, anche con gli sfregi del dopo Liberazione, anche con le tragedie della vendetta e del sangue dei vinti (Guareschi, Pisanò, Pansa) è l’origine della nostra libertà.
La pace non è un birignao progressista, una formula ideologica multiuso per affermare simpatie o antipatie ideologiche, quando non per dare licenza all’antisionismo antisemita della kefiah o allo spirito aggressivo dei residui imperi territoriali in Europa o a varie forme di intolleranza di anarchia e di caos che non si possono curare, come suggeriscono i Magnifici, con l’organizzazione di convegni online al posto di liberi dibattiti di gruppo “in presenza”. La pace è una costruzione storica, implica la guerra di difesa, che la Costituzione non disconosce affatto, non pregiudica l’appello al cielo, cosiddetto (Locke), cioè l’appello alla resistenza anche armata contro la tirannide e l’aggressione, contro lo spirito annientatore di clericalismi e teocrazie e codici canonici e terrorismi che negano libertà e esistenza di interi popoli (per esempio, gli ebrei di Israele). Le università non sono club della società civile, sono luoghi della ricerca e del sapere. Esistono il ricercare, lo studiare, l’insegnare, esistono il sapere e la storia, non la cultura della pace, specie se dal fiume al mare. Una democrazia liberale, anche e sopra tutto in ambito universitario, deve essere abbastanza forte da tutelare il diritto di espressione e lo spirito critico di tutti, con l’eccezione dell’antisemitismo genocidario, sanzionando ogni forma di correttismo ideologico e di intolleranza. La Normale di Pisa ha ceduto al birignao, frantumando l’argine da opporre alla mobilitazione intollerante contro l’idolo negativo delle folle assembleari d’oggi, Israele. La Sapienza, che è la prima università di studi classici nelle classifiche mondiali, no. I Rettori ci facciano il piacere di scegliere, e di separare il grano dal loglio.