cosa succede nei campus
Dalla Sapienza all'Università di Padova: chi si oppone alla demonizzazione di Israele
L'ateneo romano parteciperà al bando Maeci con un accordo con la Hebrew University di Gerusalemme. E in quello veneto un gruppo di studenti con una petizione ha chiesto di interrompere le occupazioni. Segno che il rigetto per il clima di violenza cresce
C’è un fronte accademico, fatto di rettori, professori, studenti delle università italiane, che alla contestazione perenne nei confronti di Israele proprio non ci sta. E lo manifesta, con gesti sempre più concreti. In atti ufficiali, o anche dal basso, chiedendo alle istituzioni universitarie di prendere provvedimenti contro “l’interruzione di pubblico servizio”. Tra i primi è meritevole di attenzione la decisione dell’Università La Sapienza di Roma. Nelle settimane in cui prima a Torino, poi alla Normale di Pisa, si sfilavano dal bando Maeci di collaborazione con le università israeliane, la rettrice Antonella Polimeni non ha cambiato opinione: niet. Si va avanti. E adesso che sui partecipanti al bando del ministero degli Esteri è calato il riserbo più totale, e non si sa quali siano gli atenei partecipanti, il Foglio è a conoscenza dei dettagli del progetto a cui ha aderito l’ateneo romano. Si tratta di una joint venture con la Hebrew University di Gerusalemme. L’oggetto della ricerca è costruire “un vettore di guide d’onda elettro-ottiche lineari programmabili come piattaforma generica per esplorare schemi ottici di calcolo quantistico”. La Sapienza ha aderito al bando noncurante degli allarmi sul famoso dual use, convinta che le ragioni secondo cui un certo tipo di ricerca possa essere orientata a un’applicazione militare non siano sufficienti a interrompere le collaborazioni con Israele. La reazione della Sapienza non è da poco, perché anche nel corso di questa settimana si sono svolte manifestazioni sfociate in violenza da parte dei collettivi pro Palestina all’interno dell’ateneo. Per cogliere il clima che si respira nei campus, ieri la società Leonardo, che opera nella Difesa, ha detto che per un mese si asterrà dal partecipare a eventi nelle università. Questo perché in un open day all’Università di Palermo suoi dipendenti sarebbero stati minacciati. “Vicenda sconcertante”, l’ha definita il ministro Anna Maria Bernini.
Ma la narrazione secondo cui per tutto lo Stivale ci sarebbero solamente studenti, gruppi universitari e collettivi schierati nella linea della rivolta anti-Israele non è propriamente vera. Una delle università in cui si respira un clima più pesante è quella di Padova. Da ottobre in poi ci sono state circa 40 occupazioni. L’ateneo padovano è stato uno dei pochi, dopo il 7 ottobre, a condannare in una mozione “fermamente le atrocità commesse da parte dell’organizzazione terroristica Hamas ai danni dello Stato di Israele con l’uccisione di civili inermi e il rapimento di centinaia di persone ora trasformate in ostaggi”. E nel Senato accademico ha già detto no alla richiesta di boicottaggio nei confronti di Tel Aviv. Ora c’è un elemento in più: mercoledì il collettivo “Spazio Catai” ha occupato per la prima volta l’aula E dell’Ederle, all’interno di Palazzo Bo, ovvero la sede centrale dell’Università di Padova. Cosa chiedevano? Una nuova mozione pro boicottaggio. Ma la rettrice Daniela Mapelli è stata categorica: nessuna autorizzazione per eventi da tenere all’interno del palazzo è stata concessa. Così come all’invito di ripresentare la mozione nel Senato accademico è seguita questa risposta: trovate sei esponenti all’interno del Senato che se la intestino e che la firmino. Questa è la democrazia.
In più, dopo l’occupazione un gruppo di studenti di Giurisprudenza ha fatto partire una petizione, firmata in meno di un’ora da oltre 60 studenti, proprio per contestare la mobilitazione in atto: “Riteniamo che quello che sta accadendo leda il nostro diritto costituzionale all’istruzione sancito dall’articolo 34 della Costituzione, così come il diritto al libero insegnamento”, si legge nella petizione. In cui si aggiunge pure: “Ricordiamo che quanto sta succedendo è interruzione del pubblico servizio: perciò chiediamo di manifestare senza occupare aule e precluderci la possibilità di imparare e formarci come cittadini consapevoli e plasmarci nel solco della libertà di pensiero”. Morale della favola: giovedì l’occupazione, con tanto di richieste di dietrofront a proposito di boicottaggio, è finita. Forte anche di un dissenso crescente da parte di studenti che non ci stanno a trasformare le università in una ribalta di opinioni a senso unico. Forse la Conferenza dei rettori dovrebbe ripartire da qui.